Carciofo natalino

Mar, 14/05/2019 - 11:40
I frutti dimenticati

Verso la metà degli anni ’50 del ‘900 mia madre curava un orto, abbastanza grande, alla base degli appicchi rocciosi che orlano verso oriente Ferruzzano superiore, ora completamente abbandonato.
Esso era dotato, fra l’altro, di due gelsi e di una grande quantità di fico d’india, ma la sua funzione fondamentale era quella di ospitare le verdure invernali, tra cui cavoli, bietole e molte piante di carciofi.
La varietà di carciofi era interessante e le piante però cominciavano a produrre solo ai primi di marzo.
A un certo punto ella seppe che sua cugina, che si chiamava Teresa Gullace come lei, aveva una varietà di carciofi che cominciavano a produrre i primi frutti qualche giorno prima di Natale, per cui venivano chiamati carciofi natalini.
In autunno ebbe delle piantine dalla cugina. Ne fu molto felice, subito le mise a dimora e crebbero velocemente in quanto, sopra gli appicchi che orlavano il paese, le case erano tutte abitate e ognuna era dotata di un piccolo pollaio da cui le buone madri di famiglia buttavano gli escrementi di gallina e talvolta anche quelle degli asini nell’orto di mia madre, che ne era felicissima, perché la terra era diventata molto ricca di elementi nutritivi e i cavoli, le lattughe e le piante di carciofi ecc. crescevano a vista d’occhio.
Già il natale dell’anno successivo le piante cominciarono a produrre i primi carciofi: Erano veramente deliziosi e tale situazione durò per alcuni anni.
Agli inizi degli anni ‘60 del ‘900 finalmente arrivò l’acqua con una conduttura lunga una decina di chilometri che portava il prezioso liquido dalla base del monte Scapparrone al paese e quindi le donne non andarono più con gli orci a prelevare l’acqua nelle poche sorgenti attorno al paese e ci fu un cambiamento anche nelle abitudini igieniche in quanto le case cominciarono a essere dotate di bagni, mentre prima era difficile lavarsi per bene e assecondare senza sacrifici le funzioni corporali, prima espresse negli orti o nei campi vicini oppure, specie dalle donne, nei vasi da notte.
Sfortunatamente convergevano sull’orto di mia madre una quindicina di case che mancando ancora la rete fognaria, avevano immesse nelle fenditure delle rocce i tubi per lo scolo dei servizi igienici, che talvolta filtravano dentro l’orto stesso.
E mia madre si disperava ed etichettava con epiteti non gentili le proprietarie delle case, mentre in aggiunta, dato che i vasi da notte non servivano più li scaraventavano nell’orto sottostante di mia madre che un giorno ne contò ben diciassette e s’inviperì talmente tanto che, se avesse morso una vipera, l’avrebbe fulminata.
Poco alla volta si disamorò nei riguardi di quell’orto che era appartenuto a suo padre e trovò un altro più vicino a casa, dove a tempo dovuto trasferì le piante di carciofi che erano invidiate dai vicini per la loro precocità.
Ben presto però esse furono attaccate da un roditore sotterraneo che, in poco tempo, fece seccare tutte le piante.
Mia madre rimase amareggiata e non ebbe più quella varietà di cardi, di cui mi restò il ricordo. Intanto la cugina di mia madre morì una ventina di anni addietro e il suo orto bellissimo, dove c’era di tutto ivi compreso, a detta di mia madre, “il latte degli uccelli”, cominciò a deperire anche in virtù del totale spopolamento del paese, per cui fu soggetto alla devastazione dei caprai, finanziati per la loro opera vandalica dai provvedimenti della CEE.
Chiesi a tutti nel paese notizie sulla pianta dei carciofi natalini e nessuno disse di averla più perché  ognuno aveva ormai piantato nel proprio orto prevalentemente la pianta che offre i carciofi romani.
L’ottobre scorso andai a visitare il terreno sito in contrada Lacco del Muro, nel comune di Bianco, gestito dall’espertissimo e gentilissimo Bruno Mezzatesta, che prima lo conduceva assieme al fratello, il defunto Francesco, depositario di ogni segreto sull’agricoltura del circondario.
Mentre mi spostavo all’interno del campo per fotografare i frutti del Melo Melarosa e quelli delle Mele della Vendemmia di Gerace, vidi indaffarato Bruno a ripulire un filare di piante di carciofi e chiesi di che varietà fossero. Mi rispose che erano carciofi natalini e aggiunse che era stato Totò Spanò a donarglieli.
Mi precipitai allora da Totò, che vive nel suo “Eden” circondato quasi esclusivamente da essenze vegetali del territorio ed egli, prima di farmi dono delle preziose piante dei carciofi natalini, presenti sul suo campo, da quando suo padre agli inizi degli anni ’50 del ‘900 le aveva portate da Pardesca, dove erano diffusissime, mi fece vedere tre varietà di melograni, la Denti di Cavallo, la Carmosina Precoce e quella Tardiva, un filare di viti della malvasia di Pardesca, presente ormai solo nel suo campo e anche il Cavolo Rapa di Pardesca, assieme ad altre varietà di piante.
Partii felice dal suo campo con alcune piantine che mi daranno i carciofi natalini e anche con altre di Cavolo Rapa di Pardesca.
La presente foto la scattai una settimana prima del Natale 2018.

Autore: 
Orlando Sculli
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