Giudice non deposita motivazioni della sentenza: tre ‘ndranghetisti liberi

Gio, 16/06/2016 - 10:36

Nel 2010, l’operazione “Cosa mia” condusse alla scoperta del controllo che le famiglie della Piana di Gioia Tauro esercitavano sui lavori dell’autostrada A3, sui quali esercitavano una tangente del 3% celata sotto le diciture di “tassa ambientale” o “costi sicurezza”.
Il processo nato da quella operazione determinò la condanna, nel 2013, di 42 soggetti che, complessivamente, come confermato anche dalla sentenza d’appello, avrebbero dovuto scontare circa trecento anni di carcere. Per permettere il rispetto dei termini di custodia cautelare, la corte d’appello avrebbe dovuto depositare le motivazioni della sentenza entro l’ottobre del 2015, ma un assurdo immobilismo da parte della Corte d’Assise di Reggio Calabria e del giudice Stefania di Rienzo conduce, oggi, al più shoccante degli epiloghi, per questa vicenda.
Nonostante l’accusa di essere tra i più attivi protagonisti della sanguinosa guerra di ‘ndrangheta che macchiò di sangue le strade della provincia di Reggio Calabria tra gli anni ’80 e ’90, tre degli esponenti coinvolti nell’operazione “Cosa mia” accusati, inoltre, di essere tra gli autori dei 52 omicidi e dei 34 tentati in quel periodo, sono oggi stati scarcerati per scadenza dei termini di carcerazione, considerata la persistente assenza delle motivazioni della sentenza agli atti.
Ma non finisce qui.
Solo dopo che la notizia è stata ripresa da un quotidiano nazionale, La Stampa, la prima commissione del Csm si è decisa a richiedere al Comitato di Presidenza l’apertura di una pratica sulla vicenda, che sarebbe altrimenti passata sotto silenzio. Anche la Commissione Antimafia, prima disinteressata agli esiti di questo processo, si è decisa a pretendere di fare luce per comprendere come si sia potuto accumulare un ritardo così clamoroso nel deposito delle motivazioni, tornando in seconda battuta a insistere affinché si realizzi la dettagliata relazione sulla situazione degli uffici giudiziari calabresi richiesta solo poche settimane fa.
Cercando di correre ai ripari, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha pubblicamente chiesto ad ispettori delegati di acquisire notizie su questa vicenda e di assumere “conseguenti iniziative” una volta che saranno accertate delle responsabilità.
Il pietoso quadro della giustizia calabrese che emerge da questa vicenda, rende ancora una volta palese che, nella nostra regione più che altrove, non solo dobbiamo vedercela con la criminalità organizzata, ma dobbiamo anche sperare che lo Stato non si faccia ingabbiare dalla burocrazia che esso stesso ha imposto.
Fonte: quotidianodelsud.it

Autore: 
Jacopo Giuca
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