I quarantenni fregati da un’offerta di due fustini in cambio del dash

Dom, 18/11/2018 - 12:00

È uscito lo scorso 2 ottobre per Rizzoli “I Rassegnati”, di Tommaso Labate, un’accurata e accorata riflessione sui ventenni degli anni Novanta, la generazione che avrebbe dovuto condurre l’Italia fuori dalla sua crisi di invecchiamento, ma che ha sprecato imperdonabilmente la sua occasione, perdendo la partita all’ultimo rigore.
Per descrivere la generazione dei quarantenni torni al 23 giugno 1994, alle ore 21:50. Cos’era successo?
Succede qualcosa che tutti gli italiani hanno visto ma che non ricordano: Roberto Baggio viene sostituito da Arrigo Sacchi in un momento che sembrava decisivo per la nostra nazionale. Baggio è la metafora della generazione dei quarantenni (che comprende quella fascia di età che va dai 35 ai 50 anni), iperpreparata, competente, predestinata. Sono stati la prima generazione ad aver studiato l’inglese in modo serio, a seguire corsi di chitarra, di pianoforte. Sono cresciuti in un periodo in cui le scuole e la ricerca ricevevano finanziamenti altissimi, erano un fiore all’occhiello in Europa. Eppure al momento della resa dei conti, i padri, per provare a vincere, come successo a Baggio in quella partita, hanno sacrificato la generazione dei quarantenni, che non è mai diventata classe dirigente come lasciato credere in un primo momento ma una generazione angosciata, le cui angosce si sono trasferite sui genitori e probabilmente, per chi ce li ha, anche sui figli.
Una generazione cresciuta mentre si diffondeva la cultura del curriculum e che tuttora si ritrova ad andare fiera di essere pagata in visibilità. Da un lato l’illusione, dall’altro una magra consolazione. Cos’è peggio?
L’illusione diffusa con la cultura del curriculum. Questo stracitare il curriculum ancora oggi genera delle illusioni. I curricula, essendo scritti da noi, raccontano delle cose sciocche, inutili. Ricordo che, uscito dall’università, come tanti, ho messo il mio curriculum online, e ad oggi mi rendo conto che avevo scritto una marea di sciocchezze. Per distinguerci dagli altri durante i colloqui avremmo dovuto raccontare delle frottole senza pari: ad esempio, chi come me odiava la montagna, si diceva amante del trekking; o, ancora, ci si dipingeva come amanti del cinema francese di Truffaut negando di aver visto un film di Vanzina o Neri Parenti. Quella del curriculum è una falsa promessa del nostro tempo, come se l’elenco di cose vere o presunte stabilisse la cifra di quanto vali. Non penso che nella dittatura del curriculum, di cui parlo nel libro, se un’azienda è in cerca di un dipendente e si presentano due aspiranti, uno che ha preso 110 e lode e uno che ha preso 105, valga a prescindere il 110 e lode. La rigidità imposta dal curriculum a questa società fa male a tutti e fa male anche alla politica che ne parla oggi in continuazione.
I quarantenni sono una generazione la cui dignità deve essere concessa per decreto. Quali sono state le mancanze più rovinose della politica degli ultimi 40 anni?
Innanzitutto io sono contrario a tutti coloro che se la prendono a prescindere con delle classi determinate, che siano i politici, i giornalisti, gli imprenditori: non mi piacciono queste generalizzazioni. La colpa è stata dei giovani politici degli ultimi vent’anni che invece di essere un passo avanti a quelli più grandi di loro, sono stati un passo indietro o un passo a fianco. Una volta i movimenti giovanili dei partiti stavano avanti ai partiti: il Partito Comunista Italiano non considerava simpatico Pasolini ma questo non impediva ai giovani della federazione comunista di frequentare Pasolini. Adesso questo non sarebbe possibile: i giovani del PD, i giovani di Forza Italia restano sulle scie del leader di turno nella speranza che questi li noti e li porti avanti. Più che della politica, la colpa è dei giovani che o sono stati degli Yes Man che aspettavano il loro turno oppure, come Renzi, hanno avuto coraggio in una prima fase ma poi fondamentalmente hanno fatto gli interessi propri più che quelli della propria generazione.
I 40enni oggi governano e hanno governato nel passato recente. Che cosa accomuna il 40enne Renzi e il 40enne Salvini?
Nessuno dei due ha rappresentato la propria generazione. Sostenere che i quarantenni governino per il semplice fatto che ci siano stati due quarantenni che hanno governato negli anni recenti vuol dire pensare di aver risolto la fame nel mondo se due bambini malnutriti mangiano.
Hai sottoposto a 15 persone una stessa domanda: “Cosa sogni?”. Tutti ti hanno risposto: “In che senso?”. Si è perso il senso o si è persa la capacità di sognare?
Si è perso il senso. Dalle decine e decine di lettere che ho ricevuto da parte dei lettori de “I Rassegnati” sto riscontrando che la generazione dei quarantenni di sogni ne ha. Quindi non è che la gente non sogni più: l’angoscia del nostro tempo sta nel fatto che la gente non pensa che qualcuno possa chiederle che cosa sogna perché considera che anche i sogni più banali siano irrealizzabili.
Ognuno di noi ha uno zio di 70 anni che lo incita a scendere in piazza a fare la rivoluzione. Ma la rivoluzione non l’avevano fatta loro per noi?
Ciascuno si batte anche per quelli che vengono dopo ma fondamentalmente è rappresentante del proprio tempo. Chi ha combattuto per liberare il nostro paese da nazisti e fascisti ha reso un servizio anche a chi è nato dopo, ma sono state combattute anche battaglie per motivi contingenti. A me, per esempio, sorprende che le battaglie studentesche, tipo quella condotta dalla “Pantera”, che cito nel libro, (la notte del 27 dicembre una pantera fu avvistata nelle vie di Roma e divenne poi il goliardico simbolo della protesta giovanile contro le riforme della scuola e dell’università, ndr) non abbiano prodotto alcun risultato non fosse altro perché gli studenti si sono fatti fregare dal sostegno dei professori, da un’alleanza che li avrebbe stritolati. Infatti, com’è andata a finire? Degli studenti si sono perse le tracce, mentre i professori che sostenevano gli studenti lo fecero a ragion veduta tant’è che stanno ancora al loro posto.
La modalità “scontentezza attiva” in cui il 40enne vive ha creato una sorta di rabbia nei confronti della sua stessa generazione. Tra di loro i 40enni si malsopportano, sempre attenti a che l’altro non lo freghi. Rifaranno mai pace?
L’obiettivo del mio libro è che anche un solo caso si realizzi, che davanti a una sola macchinetta del caffè di una qualsiasi azienda due quarantenni tornino a pensare di essere dalla stessa parte della barricata. Molto spesso confondiamo i piani: è una panzana il fatto che lavoratori e imprenditori siano dalla stessa parte, è ovvio che entrino in conflitto. Due quarantenni, invece, che sono visti dalla stessa società come in perenne conflitto dovrebbero stare insieme, dovrebbero maturare una coscienza di classe che hanno avuto le generazioni precedenti. Coloro che hanno fatto il ’68 pur avendo tra di loro delle sfumature, degli approcci culturali diversi, sono ancora oggi i capi di questo Paese: guidano banche, giornali, aziende. A noi, invece, questo non è successo e non succederà finché non capiremo che la nostra rassegnazione sarà minore quanto maggiore sarà la nostra capacità di stare insieme e solidarizzare tra di noi.
I rassegnati di cui parli includono quella generazione che va dai 35 ai 50 anni. Chi viene prima come lo definisci?
Chi viene prima ha vissuto un’infanzia non bella come la nostra. I rassegnati sono la generazione che dalla seconda guerra mondiale in poi ha vissuto il meglio da bambino. Chi è nato sotto le bombe della guerra e chi è nato nel pieno dell’ultima crisi economica che ha travolto il mondo, e col mondo anche l’Italia, ha fatto fin da bambino i conti con una sofferenza che, nel primo caso, era bellica, nel secondo, produceva effetti bellici. Chi, infatti, è nato nel 2000 ha fatto i conti con una famiglia che non si poteva permettere ciò che si permetteva la media delle famiglie degli anni ’80. La generazione dei “rassegnati” è l’unica che è partita da una situazione rosea ma che si è ritrovata ad andare sempre indietro. Siamo stati meno attrezzati a tutte le sfide che ci sono state poste di fronte, alcune di queste grandissime, come il fatto che il mondo del lavoro fosse caratterizzato dall’assenza totale di regole. Quindi, quando ci è stato proposto lo scambio di due fustini di un detersivo anonimo al posto di uno di dash, “dateci la vostra flessibilità e in cambio avrete più soldi per costruire da soli le vostre certezze”, abbiamo accettato senza capire cosa ci stesse succedendo. E così oggi ci troviamo in una società che considera normale che un lavoratore con partita IVA o un lavoratore precario, a parità di mansioni, guadagnino meno di un lavoratore a tempo indeterminato che può contare su delle garanzie.
Tu sei originario di Marina di Gioiosa…
(mi interrompe) No, io non sono originario di Marina di Gioiosa, sono di Marina di Gioiosa!
… Un 40enne nato nella Locride e uno nato a Milano sono rassegnati nella stessa misura?
Incredibilmente sì, perché nonostante le differenze tra Nord e Sud siano tantissime, non si vedono nella rassegnazione. Tant’è che se si considerano le statistiche degli emigranti italiani, la prima regione che perde giovani è la Lombardia, la più ricca. Cambia il luogo in cui se ne vanno: i giovani lombardi provano ad andare a Londra, i giovani della Locride provano ad andare in Lombardia. Comunque scappano e scappano perché la paura è comune.
Tu sei un rassegnato?
No, assolutamente no. Però anch’io sono vittima della crisi che mi prende durante la notte quando penso che siamo di fronte a un sistema senza più certezze, quando penso che non so chi baderà ai miei genitori nel momento in cui non saranno più autosufficienti o ai miei fratelli se io dovessi scomparire. La spinta a scrivere il libro è stata proprio questa: se travolge persino me la rassegnazione, immagina che cosa succede agli altri. Altro motivo che mi ha spinto a scrivere il libro è il fatto che sono convinto che a fare la differenza tra me e un mio coetaneo sia stata la fortuna. Ma è inconcepibile che in un paese occidentale e avanzato come il nostro sia la fortuna a stabilire “tu sì, tu no”.

Autore: 
Maria Giovanna Cogliandro
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