La ndrangheta in Messico va al massimo

Dom, 03/08/2014 - 11:19
La Riviera Maya e la Riviera Magnogreca sono legate a filo doppio. A collegarle un corridoio che percorre gli Stati Uniti e il Canada.

L’11 novembre 2013, sotto i 29 gradi del sole di Acapulco, è stato ucciso Moreno Gallo, boss della ‘ndrangheta in Canada. Il segnale è chiaro, l’omicidio è il simbolo della faida canadese che si è innescata con lo spostamento del baricentro del narcotraffico dalla Colombia al Messico. I 65 morti in 5 anni nel crime italo-americano nascono dal nuovo Eden del traffico di droga, nascono dal nuovo potere dei cartelli messicani. Ai calabresi amano la tintarella perfetta che possono prendere sulle spiagge messicane.
A sciogliere alcuni dubbi sono le parole di Attilio Bolzoni, giornalista de “la Repubblica”, che incontriamo di ritorno proprio dalla terra dei narcos. I calabresi sono i più forti in Messico? «Sì, credo di sì. Vedi siciliani ce n’è veramente pochi e anche napoletani. E poi i calabresi stanno comprando tutto cash». Questa sì che è una novità. Se quello che dice Bolzoni venisse confermato sarebbe un nuovo modo di fare business. In Colombia la ndrangheta non ha mai investito, mentre a quanto sembra in Messico si sta dando all’assalto del mattone riciclando direttamente sul posto grossi quantitativi di denaro provenienti della coca, e da altro. Cotto e mangiato. Certo la Colombia non era il Messico, l’appeal turistico non è paragonabile. Bolzoni e Massimo Cappello, il regista con cui sta lavorando ad un documentario sui giornalisti uccisi in Messico, sono stati sulla costa caribica del Messico, chiamata anche Riviera Maya. Un posto suggestivo, storico, turistico. Un luogo in cui non sembra neanche di trovarsi nel paese in cui «negli ultimi dieci anni hanno ucciso 76 giornalisti e ne sono scomparsi 16. Siamo andati nella zona dello Yucatan dove ci sono gli investimenti immobiliari e nel settore turistico. Siamo stati a Playa del Carmen e abbiamo raccolto testimonianze significative di operatori immobiliari messicani, ma anche italiani. Ci sarebbe una grande quantità di “imprenditori” calabresi che compravano in maniera sospetta tutto in contanti. Questa notizia poi c’è stata confermata anche da altre fonti che avevamo sul territorio». La conferma che questi investimenti siano sospetti e abbiano attirato l’attenzione delle forze dell’ordine ci arriva quando Bolzoni fa riferimento a delle operazioni che i dipartimenti anti droga messicani e statunitensi hanno effettuato, operazioni in cui sarebbero stati arrestati calabresi che operavano tra Canada, Stati Uniti, Messico e Calabria. Ecco di nuovo il collegamento: Canada, Stati Uniti, Messico e Calabria… Moreno Gallo. La riscoperta dell’America.

 

 

I CARTELLI MESSICANI

La zona di Playa del Carmen è una bolla felice, un paradiso. È una zona per cui i narcos hanno un reverenziale rispetto, perché produce ricchezza, perché attira turisti. «Cancun è una città di mafia» ha detto a Bolzoni Mario R. Menéndez Rodriguez, direttore di “Por Esto” - giornale di denuncia dello Yucatan che ha subito diversi attentati -. Tra l’altro sottolinea il giornalista de “la Repubblica” è «una città in cui non uccidono mai nessuno. In Messico, in quella zona c’è stato solo un omicidio». Business is business, e i narcos lo sanno. Quindi anche il Messico come tutte le frontiere criminali si divide in zone d’influenza e in zona d’investimenti e di guerra tra bande. «Lo Yucatan è la zona degli affari. La zona più carogna per i giornalisti è lo stato di Vera Cruz. Il confine con il Texas è il territorio del traffico, si contano fino a 76 omicidi in un giorno. C’è un paesino al confine con il Texas che è passato da 25.000 a 1.000 abitanti, sono tutti fuggiti per le guerre tra cartelli».
I cartelli si sono divisi il territorio, sono i padroni indiscussi di intere aree del Messico. Durante la nostra conversazione accenniamo solo qualche nome, ma ormai i gruppi messicani sono conosciuti in tutto il mondo. D’altra parte i signori della droga, come spesso sono definiti dai giornalisti, ostentano il loro predominio. Su “Internazionale” in un articolo del 24 Luglio 2013, dal titolo Quali sono i principali cartelli della droga messicani, svettava una foto della Reuters/Contrasto del fotografo Tomas Bravo in cui era ritratta una montagna marchiata, neanche si trattasse di un vitello, con una “Z”. La “Z” dei Los Zetas, cartello composto da paralimitari fuoriusciti dal cartello del Golfo, è ritenuto il cartello più grande, più crudele e agisce nello stato di Tamaulipas, nel nord est del paese. Sulla costa del Pacifico c’è il cartello Sinaloa, era il numero uno fino all’entrata in scena dei Los Zetas, famoso per la capacità di corruzione di polizia e rappresentanti del governo. Ha perso potere quando il cartello Jalisco, che usava come braccio armato, è passato dalla parte dei Los Zetas. Anche il cartello Beltràn-Leyva nacque alleato di Sinaloa e poi passò ai signori di Tamaulipas, opera nello nel Pacifico in particolare nello stato di Morelos.
Poi abbiamo il cartello del Golfo che sta però perdendo la sua influenza. Il cartello di Juàrez è anche esso in difficoltà ed è in lotta con quello di Sinaloa, ma controlla un corridoio importante tra il Messico e il Texas, la città di El Paso. Ed infine la Familia, con base a Michoacana, è un’organizzazione indipendente ed è in guerra con i Los Zetas al fianco del cartello del Golfo.
Ma la ‘ndrangheta con chi farà affari? Quale sarà il cartello con cui ha stretto un accordo? Con chi Moreno Gallo intratteneva rapporti ad Acapulco? E la Siderno Group di Toronto?

 

 

I RAPPORTI 'NDRANGHETA-MESSICO

Il Messico ha molti legami con la Calabria. Non solo quella tratta Canada-Stati Uniti-Messico-Calabria. Non solo Moreno Gallo. Non solo il Siderno Group. Sentendo parlare della guerra tra narcos, del traffico di stupefacenti e degli omicidi che avvengono nella Riviera Maya, il trait d’union con la Riviera Achea balza agli occhi. È ancora una volta una frase di Bolzoni a trasformare un dubbio, un sospetto, una sensazione in qualcosa di più. Quando parlando degli omicidi dei giornalisti messicani ci dice che «Non ci sono colpevoli in prigione e spesso, come in Calabria o in Sicilia, quando uccidono un giornalista seguono la pista passionale. Sia per uomini che per donne. La maggior parte degli omicidi di questi giornalisti contrariamente a quello che comunemente si pensa sono attribuibili a governatori, sindaci amministratori locali, a forze speciali ed esercito, e solo il 7% ai narcos».
Un pezzo del Messico combatte i narcos e un altro ci fa affari. I cartelli sono ingrassati indisturbati per anni e con il beneplacito di molti. E qualcuno gli vende armamenti e munizioni e ha le mani sporche. Sembra di sentire il discorso che Bolzoni fa sulla criminalità in Calabria. Certo con le dovute differenze. Ma la domanda che sorge spontanea è la stessa per entrambe le organizzazioni, narcos e ‘ndrangheta. Possibile che uno Stato, nel caso della ‘ndrangheta, o diversi Stati, nel caso dei narcos, non riescano a sconfiggere questi criminali? Possibile che questi criminali siano così potenti da essere quasi intoccabili?
La domanda a Bolzoni l’ho posta in modo diverso e per quanto riguarda la ’ndrangheta. Credo però che la sua risposta possa valere per entrambi i casi. «Da quello che ho capito credo che la ‘ndrangheta abbia salvato, dopo le stragi del 1992, il sistema criminale italiano. Credo che questa sia una certezza anche vista l’espansione che ha avuto in tutta Italia, in tutta Europa e nel mondo reinvestendo  secondo me quantità infinite di denaro proveniente dal traffico di stupefacenti. Per non parlare poi dei rapporti con pezzi delle istituzioni. Credo che la ‘ndrangheta non sia una semplice organizzazione criminale. La differenza tra il crimine comune e il crimine della criminalità mafiosa è che la prima ha vissuto ai margini della società ed è sempre stata combattuta dal potere. La seconda invece ha sempre vissuto dentro la società ed è sempre stata protetta dal potere. Non si spiegherebbe altrimenti com’è possibile che da cento anni continuiamo a parlarne come se si trattasse di un’emergenza, mentre loro stanno lì giorno dopo giorno ad ingrassare». E precisa che «le organizzazioni  criminali tradizionali italiane, la Cosa nostra siciliana, la ndrangheta calabrese, la camorra napoletana esistono da 150 anni, da quando esiste l’Unità d’Italia. Credo che non si tratti quindi di organizzazioni di volgari malfattori perché se così fosse, se fossero solo dei malfattori, degli assassini soltanto trafficanti di droga lo Stato li avrebbe spazzati via in un attimo. Ma crediamo davvero che il problema siano Riina, Peppe Tiradritto, o chi per loro o i Mammoliti o i Piromalli o i Madonia. Loro non sono volgari malfattori, loro passano e sono passati, mentre la potenza delle mafie è sempre rimasta. Credo che la loro forza stia nelle loro complicità e Cosa Nostra ha una storia centenaria di complicità come credo la abbia la ndrangheta».

Autore: 
Eleonora Aragona
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