La relazione del Presidente Fuda sulle dimissioni

Mer, 21/12/2005 - 00:00

Si trasmette il testo integrale della relazione che l’ing. Pietro Fuda - le cui dimissioni da Presidente del-la Provincia di Reggio Calabria, presentate lo scorso 30 novembre, saranno definitive alla mezzanotte di oggi - avrebbe dovuto leggere ieri sera in Consiglio provinciale, inserita all’ultimo punto dell’ordine del giorno.

Signor Presidente, signori Consiglieri,
il rispetto verso l’istituzione rappresentata da questa Assemblea, grazie alla quale, non mi stancherò mai di ripeterlo, abbia-mo potuto dare ai cittadini ed al territorio tante risposte, mi impongono di affidare la relazione inserita all’ordine del giorno ad uno scritto, che ho elaborato nelle ultime settimane e che preferisco leggere, come una sorta di riflessione a voce alta, per non dimenticarne passaggi importanti.
Intanto ho la necessità di dire qualcosa sulla lettera di dimissioni pervenuta in Consiglio in mia assenza. Per il giorno 30 non potevo assicurare la presenza perché erano in programma a Roma due riunioni: decreto Reggio e certificazione Sogas. Ai risulta-ti della riunione del Comitato per il decreto Reggio era legata la validità del programma delle opere pubbliche approvato nella penultima seduta del Consiglio. Ho trovato comprensione per le nostre ragioni sia nel Ministro Martinat che nel Presidente dell’Enac on. Vito Riggio. L’aeroporto è stato certificato, il Comitato presieduto da Martinat ha autorizzato, per l’acquisto del pa-lazzo delle Ferrovie, l’erogazione del 90% del costo complessivo, trattenendo il 10% per la ristrutturazione.
Avevo preannunciato da mesi le mie dimissioni, e prima di partire sono stato informato che dovevano essere assunte in pro-tocollo entro il trenta novembre. Quindi: una riunione di Consiglio provinciale non prevista, che non era possibile posticipare ma che neppure era stato possibile anticipare (le convocazioni del 26 e del 28 erano state infruttuose), riunioni a Roma importanti, dai risultati inappellabili. Non eravamo certamente in presenza di ingorghi istituzionali, ma di una piccola emergenza si. Per que-sto motivo ho consegnato, in fiducia, una lettera alla segretaria generale, pregandola, nel caso in cui non mi fosse stato possibile rientrare per il Consiglio, di assumerla in protocollo prima della mezzanotte, e comunque dopo la fine del Consiglio. C’è stato un “qui pro quo” e la lettera, della quale confermo validità e contenuti, è stata messa in circolazione con una tempistica che, mio malgrado, ha scatenato nei miei confronti attacchi per comportamento offensivo nei confronti di questo Consiglio, al quale, ripe-to, è andata, e va, tutta la mia stima per il lavoro svolto, ed a cui va ascritto il merito dei risultati positivi ottenuti.
Non era mia intenzione evitare di ripetere in Consiglio cose che costantemente, e da tempo, vado dicendo. In un’assemblea democratica, quale questa è, non ci sono motivi che inducano a ritenere che possa venire meno il rispetto per le posizioni degli altri, anche se non condivise. Soprattutto in considerazione del fatto che gli effetti delle mie dimissioni, con una metafora calci-stica, possono essere definiti: palla al centro e appello agli elettori. Non nascondo, comunque, il disappunto nell’avvertire tanta agitazione per una decisione che, a mio parere, ha tutti i crismi della correttezza politica ed istituzionale, e salvaguarda le regole del sistema democratico, mentre non mi pare che la giusta attenzione venga riservata, nella nostra Regione, ad operazioni politi-che che, senza la legittimazione del consenso popolare, registrano passaggi dallo schieramento dei vinti a quello dei vincitori. 
 
Dalle prime avvisaglie, c’è da ritenere che nei prossimi giorni potrei essere accusato anche di aver tentato violenza su qual-che statua lignea raffigurante un’immagine sacra: sono cose che ho sempre messo in conto, che suscitano in me sentimenti di compassione per i prezzolati diffamatori, dando l’idea di quanto ancora si debba lavorare per migliorare la nostra società, e che mi rafforzano nel convincimento che sono maturi i tempi per un nuovo passaggio elettorale.
Forte di una formazione cattolica, mi riconosco, e me ne assumo le responsabilità, nel bene e nel male, per le cose che ho fatto, senza attendermi, né pretendere, apprezzamento alcuno per quelle unanimemente condivise.
C’è chi sostiene che mi sia dimesso perché confido in una candidatura che non mi sarà data.
C’è chi aggiunge che se non ho certezza della candidatura, ritirerò le dimissioni.
C’è infine chi dà per scontato che dopo le dimissioni andrò a fare l’Assessore regionale. Quest’ultima ipotesi, a mio avviso, è la più singolare: qualcuno dovrebbe spiegare le ragioni per le quali da primo eletto, anche nelle regionali del 2000, e dopo aver contribuito in maniera apprezzabile alla vittoria della coalizione della quale facevo parte, sono stato estromesso allora dalla Giun-ta ed oggi verrei cooptato come Assessore esterno da un’altra coalizione.
Voglio rassicurare tutti: ho rassegnato le dimissioni e non intendo recedere.
Tornando al tema della candidatura nazionale, è ancora vivo in me il ricordo del periodo pre-elettorale delle politiche del 2001 quando, su pressante richiesta di Forza Italia, avrei dovuto candidarmi al Senato nella Locride. Ricordo che l’allora Gover-natore della Regione mi suggerì, “amichevolmente”, di non accettare, perché c’era bisogno del mio lavoro in Giunta e, confiden-zialmente, mi informò che la candidatura era sollecitata e sostenuta perché qualcuno non gradiva la mia presenza sulla scena politica regionale. Ho resistito alle sollecitazioni per la candidatura ed ho ceduto a quelle del Governatore, per trovarmi, alla fine delle politiche, estromesso dalla Giunta, ed ancora oggi in attesa di conoscerne la motivazione.
Ricordo che la sera in cui spedii via fax la rinuncia al Presidente Berlusconi, comunicata la notizia ad un personaggio politico a cui mi legava un sodalizio per la difesa dei diritti della provincia di Reggio, dopo le parole di plauso per la scelta di rimanere in trincea, questi paragonò la mia decisione alla “mossa del cavallo”. Non so giocare a scacchi e non so se, con quella frase, l’amico di allora intendesse fare riferimento ad una partita ideale o al romanzo di Camilleri. Sarei però curioso di sapere, secondo quel punto di vista, se anche queste mie dimissioni potrebbero o no essere considerate, metaforicamente, una “mossa del cavallo”. Mi auguro, intanto, che chi ritenga di intervenire in una questione che è personale e politica, lo faccia guardando bene, prima, nel proprio armadio. Il peso delle parole dipende da chi le pronuncia, o da chi le suggerisce: contano di più quelle delle persone che ricoprono cariche pubbliche, ma oggi, purtroppo, non sempre il valore e la cultura sono adeguati al ruolo, o alla carica, che si rappresenta.
In questa Provincia le Jene sono venute perché avevamo messo una taglia sulla testa delle volpi, nella Regione sono andate per l’assunzione dei familiari. La Corte dei Conti ha additato questo Ente come esempio di buona amministrazione, non altrettan-to mi sembra abbia detto per la Regione. Ho ereditato questa Provincia senza inchieste giudiziarie in corso. Lascio questa Provin-cia senza inchieste giudiziarie in corso o all’orizzonte. La stessa cosa non mi sembra possa dirsi per la Regione (legislatura 2000/2005).
Riepilogando, sono già stato sensibilizzato per candidature nazionali, ed ho rifiutato. Peraltro mi dicono che con la nuova legge elettorale, in Calabria, se si mettono assieme tre persone che possono contare su quindicimila voti ciascuno, potrebbero eleggere un senatore.
Presidente, signori consiglieri, vincere le elezioni, soprattutto nelle regioni in ritardo di sviluppo, non è difficile. Queste sono aree dove disagio e malessere permeano tutto il tessuto sociale.
Difficile è amministrare.
E l’agibilità amministrativa può essere assicurata solo attraverso l’applicazione concreta delle riforme che tutti conosciamo. Diversamente è un’illusione pensare di poter controllare la giungla del nostro sistema. Da tempo la collettività chiede con forza una nuova concezione della politica. Di una politica che, con la concretezza delle soluzioni, costruisca una società più libera dai bisogni, dove le cose possibili siano intese come atto dovuto per il rispetto dei diritti dei cittadini.
Mi riferisco alle risposte che si potrebbero dare alle tante necessità e che, purtroppo, quotidianamente vengono trascurate a favore del rituale, becero ed umiliante, della contrattazione e della negoziazione. Si sente il bisogno dell’affermazione di una nuova cultura, che porti a riflettere sulle inadempienze delle Amministrazioni quando i cittadini reclamano il rispetto di un diritto. In tale circostanza non si registra la consacrazione del potere, ma il fallimento di tutti, rappresentanze elettive ed apparato buro-cratico. Una cultura che metta al bando la finzione e che assuma come atto dovuto la corretta gestione del quotidiano.
Mi preoccupano moltissimo, sotto l’aspetto della maturità politica, giudizi sulla capacità di governo di una coalizione espressi con “il metro del meno peggio”. Ritengo che non ci si possa consolare se gli avversari provocano alla collettività più danni di quanti ne abbia fatti la propria parte, per poi meravigliarsi che la società provi disgusto per la politica. Credetemi, sono discorsi veramente scoraggianti e politicamente fuorvianti. Il problema non è Giunta di destra o Giunta di sinistra: ho già vissuto l’esperienza di Assessore regionale, il decollo di questa Regione non si costruisce attraverso una contrapposizione manichea tra due schieramenti, a bocce ferme, cioè con un centralismo regionale che si è sostituito al centralismo statale.
Il passaggio obbligato è rappresentato dal trasferimento delle funzioni agli enti locali, che significa:
-    accelerazione della spesa;
-    trasparenza;
-    decisioni e controllo più vicini ai cittadini;
-    accentuazione della politica come servizio;
-    formazione di una classe dirigente attraverso l’esercizio delle funzioni;
-    contenimento della particolare attenzione che ogni Assessore regionale ha per la propria Provincia, quale che sia il partito di appartenenza;
-    buona amministrazione; 
-    avvio di quel processo di modernizzazione per consentire alla Calabria di restare in Europa.
Tutte queste cose messe insieme significano, concretamente, lotta alla criminalità organizzata.
Quando ho partecipato alle elezioni del 2002 ho fatto di questo obiettivo il cavallo di battaglia per la coalizione che guidavo. Ho spiegato agli elettori che solo la nostra vittoria avrebbe potuto dare un’accelerata ad una riforma della Regione per una sta-gione aperta all’ascolto del territorio, promuovendo e stimolando il protagonismo degli enti locali. La Giunta regionale di centro destra ci doveva sostenere, perché quello era il progetto politico formalizzato nelle dichiarazioni programmatiche del Governatore (atti cons. reg.).
Non ci vuole troppa memoria per ricordare lo scontro, appena passate le elezioni, tra me e l’allora Governatore sull’argomento. È stato l’on. Antonioni, all’epoca coordinatore nazionale di FI, a darmi tutte le garanzie che quegli impegni sa-rebbero stati mantenuti (L.R. 34 approvata nell’agosto del 2002 con me Consigliere regionale). Quelle promesse non sono state mantenute. Qualcuno ha barato.
Non vorrei sbagliarmi, ma mi pare che mantenere gli impegni con gli elettori sia lo slogan del presidente Casini per l’imminente campagna elettorale, quando sottolinea “Noi siamo leali con i nostri elettori prima ancora che con i nostri alleati”.
Per me è stato un fallimento politico.
Nello scorso mese di settembre la G.R. ha adottato una delibera con la quale venivano assegnati alle cinque Province, per la formazione professionale, i fondi per l’anno 2003 da impegnare entro il 31 dicembre 2005, rispettando le procedure comunitarie: richiesta veramente singolare, se si pensa che occorrono circa sessanta giorni per la messa in moto delle procedure. A me sem-bra, però, che nel 2003 la G.R. non fosse quella attuale.
Abbiamo assistito impotenti alla sterilizzazione di tutte le occasioni per il rilancio del bergamotto (mi riferisco alla legge Aloi ed al contratto di programma). Sembrerebbe che qualcuno, oggi, si stia adoperando per utilizzare quelle risorse finanziarie su altre realtà territoriali. Più che meravigliarmi, e gridare allo scandalo, per il tentativo in corso, mi interrogo sul perché chi doveva fare, quando poteva e doveva, non ha fatto. Per delicatezza non metto in circolazione qualche riservata sul tema tra il Ministero delle Attività Produttive, che esprimeva le proprie preoccupazioni sulla possibile revoca dei finanziamenti, ed il Governatore della Regione, che era impegnato su ben altri argomenti. A fronte di queste disattenzioni c’è stata però, sotto elezioni, ad opera di i-gnoti, una delibera, fortunatamente revocata di recente, che assegnava a terzi la struttura del CIAPI, nonostante sin dall’insediamento, come Provincia, ne avessimo chiesto l’utilizzo anticipato, dal momento che la nostra titolarità sulla proprietà era ed è fuori discussione.
Comportamenti, questi, che certamente non tendevano a favorire la costruzione di quel modello regionale fondato su un maggiore coinvolgimento e rispetto per il ruolo degli Enti locali.
A mio avviso, però, allora non è stato distratto solo il Governatore, ma la politica. Errori dei quali qualcuno comincia a fare tesoro, se è vero che oggi è in atto un forte confronto dialettico tra la Margherita e l’attuale Governatore, che di quel partito è l’espressione.
Oggi c’è una nuova G.R. Il problema non è se stia operando bene o male: l’ho detto e lo ripeto, in un contesto amministrati-vo ingessato come quello calabrese, non ci sarà destra o sinistra che tenga. Sono, invece, fortemente interessato a stimolare quel trasferimento di funzioni, snodo fondamentale per lo sviluppo di questa Provincia e dell’intera Regione, che era e resta il progetto politico nel quale mi riconosco. Mi sembra che questo processo sia già in atto, con una forte accelerata impressa di re-cente, dopo l’assassinio di Franco Fortugno. In politica, però, tutto è possibile: si potrebbe anche assistere ad una brusca frenata per rimandare l’efficacia dei provvedimenti alla fine dell’attuale legislatura regionale.
In questo contesto il mio ragionamento è di una semplicità lapalissiana.
Due sono le ipotesi: o l’attuale G.R. completa il trasferimento delle funzioni agli Enti locali nel più breve tempo possibile, e dunque è politicamente onesto e corretto che a gestire le nuove competenze sia un’Amministrazione legittimata da un nuovo passaggio elettorale, con una campagna dove il centro destra potrà spiegare perché non l’ha fatto, e il centro sinistra perché l’ha fatto, permettendo agli elettori, sentite le ragioni degli uni e degli altri, di esprimere il proprio giudizio. O, se anche questa G.R. sarà inadempiente, in campagna elettorale ne dovrà spiegare i motivi.
Pertanto, al momento, le certezze sono che ho rassegnato le dimissioni e che sarò presente nella prossima competizione di giugno per l’amministrazione di questa Provincia. Obiettivo che, in verità, mi interessa più di ogni altro, non solo per tenere alta l’attenzione sul tema del decentramento amministrativo, ma anche per costruire, diffondere e consolidare la cultura dello svilup-po locale, che rappresenta l’unico modello di partecipazione credibile e produttiva. Modello che per il nostro Mezzogiorno non ha alternativa.
Credo nelle grandi potenzialità del nostro territorio. Abbiamo innumerevoli punti di forza: posizione geografica, circa 220 km di costa, beni artistici e culturali, peculiarità del territorio non adeguatamente valorizzate, come il bergamotto, porto di Gioia Tauro con altri sette porti minori, Aeroporto, ASI, Parco dell’Aspromonte, Amministrazione provinciale ed Enti locali, legittimati per un più determinante ed incisivo coinvolgimento. Punti di forza che, se liberati da lacci e laccioli, potrebbero contribuire note-volmente allo sviluppo economico, sociale e culturale.
Non possiamo assistere impotenti al trasferimento delle commesse dalle OMECA di Reggio verso stabilimenti della vicina Si-cilia, o alla colonizzazione della Stazione Sperimentale di Reggio ed al suo asservimento a quella di Parma. Né è tollerabile che allo svincolo Malderiti, al servizio dell’aeroporto dello Stretto, i lavori procedano a rilento perché da sei mesi non vengono liquida-te le spettanze alle imprese.
Agli amici stimati, che continueranno a militare in FI, debbo qualche raccomandazione. Prima di ulteriori avventure, assicu-ratevi sui criteri che ispirano la formazione degli esecutivi, accertatevi sul peso ed il ruolo, nella composizione e scomposizione delle Giunte regionali, di oscuri personaggi i cui nomi cominciano ad affiorare nelle inchieste giudiziarie per fatti che mi auguro siano infondati. La logica che ha guidato la politica della Casa della Libertà, nella Calabria tra il 2000 ed il 2005, è ancora avvolta dal mistero, forse non per molto.
Ricordo che l’amico della “mossa del cavallo” mi confidò, nel luglio del 2001, che mi avrebbero fatto uscire dalla Giunta per-ché la mia presenza non era gradita alle lobby. La “soffiata” mi ha colpito non per il riferimento alle lobby - in politica ci sono sempre delle resistenze, e c’è sempre chi, come il pavone, solleva le piume per sembrare più grande -, bensì perché ho dovuto constatare l’esistenza di persone che, pur essendo a conoscenza di iniziative, a loro avviso, censurabili, continuavano a sostenere la maggioranza, restando in Giunta, anche se, a detta loro, in posizione critica. 
Amici di FI, prima di proporvi per l’assunzione di impegni istituzionali, assicuratevi che non vi lascino senza riferimenti. Su 103 Province in Italia, 15 erano a guida FI. In circa tre anni e mezzo non c’è stata una sola convocazione dei Presidenti, né per essere sentiti sui problemi delle Amministrazioni che gli elettori avevano affidato alla nostra responsabilità, né, tanto meno, per un accreditamento istituzionale presso i Ministeri a guida FI. Per essere ricevuto dovevo ricorrere a rapporti personali con parla-mentari di altri partiti. Per un appuntamento con il Ministro Urbani sono stato personalmente accompagnato dal senatore Cirami dell’UDC. Da tre anni, nonostante le pressanti richieste del sen. Renato Schifani, sono in lista d’attesa per essere ricevuto dal Mi-nistro della Pubblica Istruzione.
Un distacco ed una disattenzione che ho potuto verificare personalmente durante la campagna elettorale per questa Provin-cia. Quando i sondaggi davano la Provincia al Polo, è stato spedito il ministro Marzano per fare atto di presenza a Gioia Tauro e Reggio. Era una giornata piovosa, e il ministro, durante tutto il viaggio, si è interrogato sul perché di quella visita. Da tecnico non aveva colto che bisognava mettere il cappello su un vittoria inaspettata, piovuta dal cielo.
Che nessuno si illuda, c’è uno scollamento, una caduta di tensione sul principio della solidarietà nazionale, e la Calabria, con i suoi problemi, è ritenuta un peso. Occorre, a mio avviso, lavorare molto per recuperare e rilanciare la cultura dell’unità naziona-le.
Ricordo la campagna elettorale per le politiche del 2001: ero Assessore regionale e mi sono impegnato, in tutta la regione, sostenendo che per FI il Mezzogiorno non era un problema ma una risorsa, perché era l’unica area del Paese dove, con un sfor-zo minimo del Governo, poteva aumentare il PIL. Fino ad oggi, da noi, è cresciuta solo la disoccupazione.
Infine, anche se sembrerebbe non pertinente, mentre per me lo è, debbo comunicare un’altra certezza: intendo impegnarmi fortemente nel prossimo referendum per liquidare la devolution. Quel referendum richiesto all’unanimità, anche se con motiva-zioni diverse, dal Consiglio Regionale della Calabria.
Quando, nel 2002, si preparavano le elezioni provinciali, è venuto a Reggio l’allora coordinatore nazionale, on. Roberto An-tonioni, accompagnato da tutto lo staff dirigenziale di FI. Al Miramare c’è stata un’assemblea molto partecipata. Era la cerimonia di investitura per la candidatura a Presidente dell’Amministrazione Provinciale. Per me era un’assunzione di responsabilità e, per l’onore che mi veniva dato, lasciavo il posto di capogruppo al Consiglio Regionale. Per altri era una serata di felicità: potevano rimanere al proprio posto, mantenendo tranquillamente le croci di guerra acquisite a tavolino, perché, secondo la loro cultura politica, c’era un fesso che aveva accettato di candidarsi. Sfuggiva a questi signori che quel fesso era stato, sia nel 1995 che nel 2000, il primo eletto. Del resto FI è un movimento caratterizzato da tante aspirazioni per i collegi certi, ma pur avendo, fino ad oggi, la maggioranza relativa nel centro destra, ha difficoltà ad esprimere candidature di peso per cariche amministrative, vedi Cosenza città e Provincia, i recenti risultati di Messina, ecc.
In quella circostanza colsi l’occasione, con il mio intervento, per mettere in guardia la dirigenza nazionale. Cercai di spiegare che al Sud si avvertiva la sensazione che il movimento, anziché assumere, con sempre più vigore, i connotati di un grande parti-to nazionale interclassista, si andava via via caratterizzando come una Lega, più grande si della Lega Nord, ma non un partito rappresentativo di istanze provenienti da tutto il territorio nazionale. Mi sembra che quella che allora poteva essere una banale percezione oggi sia diventata realtà. Saranno gli elettori del Mezzogiorno a giudicare l’attendibilità di questa impressione.
Ricordo che quando si avviarono i primi tentativi per mettere in piedi, in Italia, la coalizione di centro destra, quando tra Al-leanza Nazionale e Lega Nord i rapporti non erano certamente idilliaci, FI ha basato le proprie scelte sul fatto che in un sistema democratico contasse la capacità di aggregazione, e quindi non si doveva isolare la Lega. Giusto. Ma oggi a me sembra che, alla fine del discorso, ad essere isolato è il Mezzogiorno. Non è casuale l’insistenza di alcuni politici meridionali sulla necessità di una fiscalità di vantaggio e di un piano per le infrastrutture. Per questo motivo il mio impegno va contro la devolution così come è stata licenziata dal Parlamento.
Spero che le tante domande poste, direttamente o indirettamente, da ciascuno di voi, abbiano potuto trovare una risposta in queste riflessioni, nelle quali ho cercato di chiarire le ragioni di una scelta personale e politica, comunque inderogabile.
Vi ringrazio davvero per l’ottimo lavoro svolto, senza il quale il nostro territorio sarebbe ancora isolato e privo di servizi. Vi ringrazio come politico, come rappresentante istituzionale, ma soprattutto come cittadino. C’è ancora moltissimo da fare. L’importante è sapere che abbiamo iniziato a percorrere la strada giusta.

Autore: 
Redazione
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