Sulla modifica della normativa sulle intercettazioni

Lun, 18/06/2018 - 15:20
Giudiziaria

Il prossimo 26 luglio entrerà in vigore il decreto legislativo 216/17 (meglio noto come modifica alla normativa sulle intercettazioni). Un decreto di non poco conto e che, per i non addetti ai lavori, è passato inosservato ma che ha ricadute di non poco conto su tutti i cittadini. Sul decreto è aperto da tempo il dibattito all’interno del settore giustizia, che ha portato a molte critiche. Da ultimo un contributo importante è quello che giunge dall’Osservatorio “Doppio Binario e Giusto Processo”, dell’Unione delle Camere Penali Italiane, nel corso del Quarto Open Day dell’Ucpi che si è tenuto nei giorni scorsi a Rimini. E sui “profili di incostituzionalità delle modifiche in materia di intercettazioni” hanno dibattuto nel corso di un apposito work shop i responsabili dell’Osservatorio, composto dagli avvocati Maria Teresa Zampogna, Giuseppe Scazzola ed Eugenio Minniti, questo ultimo anche presidente della Camera Penale “G. Simonetti” di Locri.
Nell’argomentata relazione si rileva, fra l’altro che: «Tuttavia il pur condivisibile scopo di voler contenere il rischio di indebita diffusione delle informazioni in alcun modo attinenti ai fatti processuali acquisite mediante l’impiego dei mezzi tecnici idonei alla captazione delle conversazioni, ovvero dei flussi informatici o telematici, anche mediante inserimento in dispositivi elettronici portatili di un captatore informatico, non ha trovato un corretto e adeguato bilanciamento con i principi costituzionali e convenzionali enunciati in tema di giusto processo.  In particolare, con questo decreto legislativo, il Governo ha introdotto una complessa procedura protocollare che, al di là della sua concreta idoneità ad evitare la diffusione del materiale informativo acquisito mediante intercettazione, sacrifica in modo ingiustificato e sproporzionato, rispetto agli obiettivi di tutela della privacy, cui è teso – come detto - l’impianto introdotto dalla novella in commento, il diritto del cittadino (indagato e/o imputato) alla effettiva (non solo potenziale) conoscenza di tutto il materiale probatorio acquisito attraverso l’impiego di tali mezzi di ricerca della prova, vanificando, in concreto, l’esercizio delle prerogative di cui agli artt. 24 comma 2 e 111 comma 3 della Costituzione, oltre che di quelle disciplinate dagli artt. 6 e 8 della C.E.D.U.».
«Di conseguenza, il primo profilo di tensione costituzionale che si registra tra alcune norme introdotte con il decreto legislativo 29 dicembre 2017 n. 216 e i principi costituzionali dettati in materia di giusto processo e di inviolabilità del diritto di difesa è, quindi, costituito dall’evidente soccombenza di queste inviolabile prerogative in favore di una sedicente tutela della riservatezza».
«La normativa oggetto di commento non prevede alcuna disciplina tesa a regolamentare la conservazione prima della procedura ex artt. 268 bis, 268 ter e 268 quater c.p.p.  del materiale intercettivo ritenuto irrilevante, ovvero quello afferente a dati sensibili, o di cui è vietata la trascrizione per l’oggetto o per la qualifica dei soggetti intercettati; così come non è dettata alcuna disciplina in relazione alla conservazione e alle modalità di trasmissione al P.M. delle annotazioni ex art. 267 comma 4 c.p.p. che l’Ufficiale di Polizia Giudiziaria è chiamato a redigere nel caso in cui proceda, ai sensi dell’art. 268 comma 2 bis c.p.p., a non trascrivere il contenuto delle conversazioni intercettate. In realtà, solo in relazione all’ipotesi in cui il pubblico ministero autorizzi la polizia giudiziaria a differire la trasmissione degli atti relativi alle intercettazioni ad un momento successivo alla scadenza del termini per lo svolgimento delle operazioni (che inevitabilmente diverrà la prassi, così come, peraltro lo è già oggi), l’art. 268 comma 4 c.p.p. impone che nel relativo decreto siano indicate “le prescrizioni per assicurare la tutela del segreto sul materiale non trasmesso”».
In parole semplici, ma senza dubbio efficaci: «La secretazione dell’irrilevante a giudizio della P.G., che seleziona per rafforzare la tesi ricostruttiva dell’accusa, non impedirà le pubblicazioni nocive».
«L’inefficienza, quindi, della complessa procedura protocollare, che si procederà ad analizzare nelle sue criticità, radicalizza ancor di più il conflitto costituzionale con i principi declinati nella Costituzione regolatori  del giusto processo. Si tratta, infatti, di un complesso di norme poste a tutela di beni che non possono soccombere nel bilanciamento con la privacy che, nonostante costituisca un diritto tutelato a livello costituzionale, è da considerarsi di portata certamente minore e, quindi, recessivo di fronte all’esigenza di giustizia che si concretizza, non solo garantendo agli organi della giurisdizione tutti gli strumenti utili alla repressione e all’accertamento dei fenomeni criminali, ma anche e soprattutto assicurando al cittadino, cui viene mossa una specifica accusa, il pieno, completo ed effettivo esercizio del diritto di difesa».

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