“Vorrei portare al cinema gli scritti di Nicola Zitara”

Dom, 27/10/2019 - 12:00

Il regista Salvatore Romano torna nella sua Calabria per effettuare le riprese del suo nuovo film “L’incontro”. Abbiamo chiacchierato con lui per conoscere meglio questo suo progetto, capire cosa l’ha ispirato e perché la nostra regione può offrire moltissimo a chi lavora nel mondo del cinema.
Dopo aver visto insieme tanti anni fa “Liberarsi”, tua pellicola sui moti di Reggio, ci incontriamo oggi sul set de “L’incontro”. Come nasce questo film?
Nasce da un’idea che per tanti anni ho messo da parte. Oggi che c’è stata la possibilità di tirarla fuori, con la Marvaso Production abbiamo deciso di intraprendere quest’avventura in modo indipendente e a basso costo, girando a Mormanno in provincia di Cosenza, che ha luoghi che si prestano molto bene alla nostra storia.
Si tratta dunque di una storia tutta tua. Qual è il tema trattato?
Sì, è una storia che ho scritto personalmente che parla di fede, redenzione, perdono, solidarietà, compassione. È la storia di un viaggio on the road dell’anima che il protagonista intraprende per tornare indietro nel tempo e cercare di capire e risolvere qualcosa che ha fatto in passato e che gli serve a poter continuare a vivere.
È una storia a lieto fine?
È un percorso che, dopo averlo visto recluso in carcere per molti anni per un reato che adesso non posso svelare, gli permetterà di rapportarsi agli altri personaggi che ha fatto soffrire alla ricerca di un perdono che possa fargli trovare ristoro, grazie anche alla fede nel crocefisso e all’amicizia con un ragazzo africano che lui ha adottato a distanza.
Quanto c’è di te e del tuo paese in questa storia?
Direi molto. La Calabria è presente innanzitutto nella voglia di rinascere dei calabresi, che cercano se stessi in qualunque parte del mondo. Come viene detto nel film, inoltre, “il vero viaggio è quello che ci riporta dove siamo partiti”, e questo è proprio il tipo di viaggio che il mio protagonista intraprende.
Come dicevi in precedenza, il film è autoprodotto, ma entrerete comunque nella grande rete della produzione cinematografica calabrese?
Io mi auguro proprio di sì.
Abbiamo scritto molto sulla Film Commission pugliese e del buon lavoro svolto da Paride Leporace come direttore della Film Lucania. Siamo stati critici con la Film Commission calabrese, in particolare quando, alcuni anni fa, ha dirottato la produzione del film di Ridley Scott su Getty in Sila anziché nel nostro territorio.
Vero, un caso paragonabile a quello del film sulla Strage di Duisburg girato, per di più malamente, in Puglia. Si tratta purtroppo delle richieste effettuate dalle produzioni che, ovviamente, si recano dove gli conviene maggiormente. È vero, però, che la Film Commission che sa che sta per partire una produzione che parla del suo territorio di competenza, dovrebbe tutelare il proprio territorio e avanzare le istanze necessarie a far sì che esso possa essere girato nei luoghi di cui si parla anche prima che le produzioni partano.
La Calabria sta diventando una vera e propria fabbrica del cinema. Io ho seguito Munzi quando ha cominciato a studiare le location per “Anime Nere”, secondo me la fase in cui sono partite poi una serie di produzioni che hanno dato nuova linfa vitale al nostro territorio. Cosa manca perché sia una vera e propria fabbrica del cinema?
Per quanto riguarda il nostro film, si presta a essere girato in una zona come il Pollino. Il viaggio del nostro personaggio è metaforicamente paradisiaco e, essendo questi posti molto belli ci serviva un posto immacolato, che avremmo potuto trovare anche in Sila o Aspromonte. Abbiamo poi una scena finale sul mare, che rende la Calabria ancora più adatta a questa nostra produzione. Si tratta di una storia particolare che sarebbe stato difficile girare altrove, ma il nostro non vuole essere un film calabrese, bensì solo un film.
Al di là di questo, è comunque vero che il nostro cinema sta vivendo un buon periodo e diventare una meta per girare film proprio in questi anni potrebbe costituire un grosso volano di sviluppo per la nostra regione.
È vero, in Calabria si stanno girando parecchie cose, ed è un fattore molto positivo.
Conosci colleghi che chiedono informazioni in merito, sapendo delle tue origini calabresi.
Ogni tanto capita, certo.
Ma Giuseppe Marvaso è stato bravo?
Certo. In tutti i film che ho fatto, anche cortometraggi, mi è piaciuto investire sempre su giovani attori. Ho lavorato con Serena Rossi, Giuseppe Zeno, che poi hanno avuto una brillante carriera. È chiaro che un film girato con pochissimi soldi e pochissimi mezzi, però, è viziato da eventi che sono indipendenti dalla bravura mia e degli attori.
Anche in questa produzione recita molta Locride, comunque, perché ho notato la presenza di Daniela Fazzolari, di Siderno, Tallura, di Locri…
Ma anche altri calabresi: Annalisa Schiavone di Gioia Tauro e Walter Cordopatri, di Rizziconi, che dirige una scuola di recitazione a Cittanova. E attori di esperienza come Nina Soldano, Giuseppe Zarbo, Giorgio Colangeli. Attori di più e meno esperienza che è stato bellissimo veder lavorare assieme.
Perché parli di tempi stretti?
Perché girare un film in tre settimane è da pazzi. È stata una scelta ponderata per ridurre i costi, perché girare in quattro settimane sarebbe costato di più e bisogna considerare anche i costi di post-produzione.
È da tanto che sei nel mondo del cinema. Quali sono i cambiamenti maggiori che hai notato in questo mondo?
C’è da dire che, dopo “Liberarsi”, io ho lavorato su molte fiction ma non sono tornato a produzioni squisitamente per il cinema. Ci torno adesso ma, come avrai capito, a condizioni tutte particolari. Ci sarebbe da fare un discorso tecnico e uno artistico. Noto comunque cambiamenti enormi nella tecnica: non si usa più la pellicola e con il digitale la gestione è totalmente diversa. Ma i tempi tecnici sono rimasti quelli. Dal punto di vista qualitativo, il cinema dovrebbe distinguersi come temi, onde evitare di appiattirsi sui temi della fiction. Dovrebbe andare su storie estreme, che io spero di stare realizzando con questo film. Altrimenti ci si limita a fare intrattenimento, la maggior parte delle cose che si vedono in sala, perché ormai vediamo poco cinema ovunque.
Qualche esempio? Anche di registi che ritieni che siano qualche passo avanti rispetto agli altri.
Io non ho nomi ma, stando all’interesse che sono riusciti a destare all’estero, penso che Sorrentino e Garrone siano gli unici del cinema italiano che abbiano saputo fare qualcosa di diverso, in grado di incuriosire un pubblico più vasto. Il resto sono registi che filmano perché hanno il nome, ma che ormai non riescono più a rappresentare adeguatamente il cinema italiano. Ormai il regista è un esecutore, non ha più il ruolo di una volta.
Ti piacerebbe riprendere storie di qualche autore, magari calabrese, da trasporre in un tuo prossimo film?
Un autore che terrei molto a portare al cinema, e con il quale ho anche avuto modo di lavorare in passato è Nicola Zitara. Ritengo che dovrebbe essere ripreso e riconsiderato, perché la conoscenza che aveva lui della storia, e della Calabria soprattutto, ha un valore immenso, dettato da un meridionalismo portato avanti non solo a parole ma con i fatti.
Quest’anno ho incontrato ad Africo Lombardi Satriani che mi ha parlato di due concetti. Uno è quello della “Restanza”, un concetto che fa riferimento al restare in Calabria ma producendo qualcosa di attivo per questa terra. Un concetto che, lui afferma, dovrebbe essere la filosofia di tutti i calabresi positivi. Ti ritrovi in questa idea?
Certamente. Io sono dovuto andare fuori per fare cinema, eppure alla fine sono dovuto sempre tornare qui. “Liberarsi” l’ho fatto qui, ho girato due documentari e tante altre produzioni che mi hanno fatto in definitiva, lavorare pochissimo a Roma, dove ho lavorato solo come aiuto regista.
Altra cosa che mi ha detto Satriani è che noi siamo le persone che frequentiamo. Da quale frequentazione nasce Salvatore Romano?
Quando ho realizzato il primo film, che ho fatto per la passione di scrivere e rappresentare, non ho ringraziato il mio maestro perché non ne ho avuto uno. Evenienza che mi è spiaciuta molto, ma che mi ha reso anche più genuino. Io, infatti, non ho mai avuto frequentazioni mondane e anche nel cinema ho avuto molti pochi contatti.

Autore: 
Rosario Vladimir Condarcuri
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