Appello del processo "Il Crimine"

Sab, 29/11/2014 - 10:08

Nei giorni scorsi è approdato davanti ai giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria il processo “Il Crimine”, che riguarda 27 imputati giudicati dal tribunale di Locri nel luglio del 2013, nel filone del rito ordinario. La Procura ha appellato quattro assoluzioni, tra cui quella del sidernese Francesco Marzano, per il quale, in I grado, sono stati chiesti 12 anni di reclusione. I magistrati inquirenti hanno aggiunto in sede di appello anche la richiesta di aggravamento della pena per altri imputati, preceduta dall’eventuale riconoscimento dell’aggravante di “capi promotori dell’associazione per delinquere di stampo mafioso” contestata in rubrica nei confronti degli imputati Vittorio Barranca, Francesco Bonarrigo, Mario Giuseppe Stelitano, Antonio Cuppari, Antonio Figliomeni, (cl. '49), detto “topo”. Altri imputati contro i quali la pubblica accusa ha chiesto una maggiore pena riguardo le posizioni dei sidernesi Antonio Commisso (cl. '25) e Roberto Commisso (cl. '72), nonché  per Domenico Rocco Cento, Giuseppe Antonio Primerano, Michele Fiorillo, Giuseppe Giampaolo e Rocco Bruno Tassone.

Per questi e per gli altri imputati sono pronti a contrastare la Procura una folta formazione di legali che hanno presentato, ognuno per il rispettivo assistito, contestuali motivi di appello chiedendo la riforma della sentenza di condanna del I grado di Locri in favore di un’assoluzione.

Il processo, che riprende a fine gennaio, segna un momento importante per comprendere la consistenza dell’impianto accusatorio rispetto alle conclusioni investigative della procura distrettuale antimafia reggina. L’indagine “Il Crimine”, infatti, ha segnato un’evoluzione delle inchieste antindrangheta, un punto saldo di “non ritorno” al passato costellato di “locali” sparpagliate nei territori provinciali reggini ed extraregionali calabri che sembravano “autonomi” l’una dall’altra. L’operazione “Il Crimine” supera, a livello investigativo, l’autonomismo e ne certifica l’unitarietà della ‘ndrangheta intorno ad un cupola, definita “La Provincia” o “Crimine”, con presunta “sede legale” a Polsi, presso il santuario della madonna della montagna, tanto venerata che nel 2009 sotto la statua che posta su una colonnina che campeggia nel cortile, il presunto “capo crimine” don Mico Oppedisano viene abbracciato dai presunti sodali dopo la “nomina” ricevuta nel corso di un banchetto di nozze che si è svolto in due ristoranti della Locride, che si è contraddistinto per l’alto numero di invitati e commensali.

Il giudizio d’appello è un altro passo importante per comprendere se la legislazione corrente può sorreggere o meno l’ipotesi investigativa, che segue un filo logico nuovo e diverso dai precedenti processi di mafia, dove risultavano fondamentali per determinare la penale responsabilità dell’imputato il suo collegamento ai cd “reati fine”, quali estorsioni, armi etc, che nell’inchiesta corrente non sono stati cristallizzati o posti a fondamento del quadro accusatorio come lo è stato in precedenti procedimenti penali.

Sarà quindi interessante seguire il processo per scoprire quale sarà l’orientamento dei giudici dell’appello, fermo restando che tutto si deciderà in Cassazione.

Autore: 
Rocco Muscari
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