Figliomeni colpevole? Questione di sfumature

Dom, 13/07/2014 - 15:43

Fabrizio Spinella

Alessandro Figliomeni chiude desolatamente il ciclo storico di una generazione della sinistra sidernese più legata al popolo e meno ideologizzata. Ha coltivato un’ambizione di potere con entusiasmo trasferendosi nel campo di centrodestra; ha goduto di un largo consenso trasversale; ha esercitato la politica come arte della mediazione; ha aggregato collaboratori eterogenei; ha mosso energie nuove; ha vinto per sé e per gli altri, ma alla fine si è ritrovato in disgrazia e i suoi meriti, che anche alcuni avversari in una prima fase gli riconoscevano, si sono dissolti in un battibaleno.
È del tutto improprio confinare in un procedimento penale la sua esperienza di amministratore pubblico, per certi versi vittima consapevole del sistema (ma su coloro che l’hanno scaricato incombe un analogo gravame). Egli sta scontando lo stesso presunto errore ontologico dei suoi predecessori, però già condonati dallo spirito dei tempi, e sta pagando alla fine per tutti. Infatti, per il principio di realtà, eguale responsabilità sarebbe attribuibile illativamente a tutti coloro che hanno condiviso una prassi politica nel rapporto con i gruppi segreti di pressione (prassi della quale hanno beneficiato anche esponenti regionali e nazionali di turno, a sinistra come al centro).
Sarebbe superfluo ricordare agli immemori giovani progressisti sidernesi il legato controverso dei loro ascendenti. Mettiamola così: Figliomeni è figlio legittimo della sinistra (come anche il suo vecchio rivale Panetta), non della ‘ndrangheta. Mi ha colpito peraltro che nessuno della vecchia e della nuova guardia progressista si sia indignato quando un ergastolano, in una fase del processo contro Figliomeni, ha indicato in Cosimo Iannopollo, storico sindaco di Siderno per più di vent’anni col sostegno di socialisti e comunisti, l’espressione della forza elettorale della stessa potente famiglia che avrebbe poi contribuito a selezionare i successori alla guida del Municipio. Nessuno che abbia fatto una dichiarazione per difendere la memoria del più popolare e più celebrato sindaco di Siderno, di sinistra. Una èra politica è stata così abbandonata alle ortiche.
«Nessun uomo sa chi è», affermava lo scrittore cattolico ottocentesco Léon Bloy, il cui assunto ritrovo in una glossa di Borges nella raccolta Altre inquisizioni (Adelphi). Figuriamoci se un uomo possa indagare la natura di altri, se ignora intimamente se stesso. Ne consegue che ogni verdetto (e per converso ogni critica al verdetto) sarebbe un azzardo per così dire filologico.
Ma capisco che l’esercizio di giustizia non possa rispondere a questo canone bizantino, perché un tribunale segue un dettame logicamente arido e fintamente impersonale sulla base di prove o di indizi (quantunque la verità giudiziaria dipenda sempre da interpretazioni soggettive). Certo, le valutazioni morali sulla personalità generosa di Figliomeni non sono servite a scagionarlo: il bene e il male, l’innocenza e la colpevolezza, hanno sfumature nelle speculazioni filosofiche e religiose, quasi mai in quelle giurisprudenziali che esigono il sì-sì o il no-no rispetto alle accuse.
Epperò le sfaccettature della vicenda di Figliomeni aprono il varco ai dubbi e ai ricorsi. Il diritto contempla tre gradi di giudizio, appiglio per la speranza di chiunque soggiaccia a una imputazione, giustappunto perché il legislatore ha prefigurato il possibile travisamento da parte di uno o più magistrati che  non sappiano cogliere le sfumature.

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