Frodi carosello

Lun, 26/12/2016 - 10:15
Giudiziaria

Recenti indagini eseguite con il coordinamento di procure antimafie nazionali hanno portato alla scoperta di frodi del regime Iva, denominate “carosello”. Il particolare regime Iva applicato ai paesi aderenti alla comunità europea, prevede che in caso di acquisti intracomunitari l’operazione sia soggetta ad Iva nello Stato di destinazione del bene (l’acquirente riceve la fattura senza addebito Iva e liquida l’imposta, con l’aliquota vigente, contabilizzandola, con la cosiddetta doppia registrazione, nel registro acquisti ed in quello vendite), mentre nel caso di cessioni intracomunitarie l’operazione non è soggetta ad Iva nello Stato di origine del bene (il cedente emette la fattura senza addebito Iva). Nel corso di un’indagine veniva scoperto l’utilizzo di una logistica austriaca che secondo gli inquirenti consentiva l’applicazione del regime Iva più favorevole, alla base della “frode carosello”. Nelle operazioni di acquisto dei prodotti informatici da parte delle società riconducibili agli indagati, si interponeva, in talune occasioni, una società sita in Francia, gestita dal sedicente soggetto, considerato un mero prestanome perché non partecipava al finanziamento delle operazioni. Le operazioni commerciali si erano susseguite in modo vorticoso e le triangolazioni finanziarie  variavano a seconda del ruolo svolto dalle società, che poteva essere indifferentemente di acquirente o fornitore. Le fatture emesse nei confronti delle società compiacenti erano necessarie per ottenere diversi affidamenti e crediti. Le compravendite erano decise a tavolino da un soggetto che contattava le varie imprese affinché venisse dato inizio ad un nuovo giro di fatturazioni. Le operazioni commerciali erano spesso veloci ed approssimative, tanto da risultare inverosimili e fuori da ogni logica di mercato. Gli indagati dichiaravano, infatti, la disponibilità di numerosi pezzi di prodotti tecnologici che venivano compravenduti, tra di loro, in modo velocissimo.
In generale, le fittizie compravendite prevedeva una imbastitura relativamente semplice con l’interposizione di un numero limitato di imprese. La società dei P. assumeva il ruolo di società filtro, perché si interponeva tra la cartiera e la società beneficiaria delle false fatturazioni.
La P. eseguiva l’effettivo calcolo del saldo Iva, pari alla differenza fra il credito derivante dall’acquisto della merce - corrispondente all’Iva che formalmente avrebbe dovuto versare la società cartiera - e l’Iva a debito determinata dalla cessione della merce alla società beneficiaria. L’illecito profitto non era quindi determinato dal computo dell’Iva a credito, a tutto vantaggio della società beneficiaria, bensì dalle percentuali di guadagno applicate ad ogni singolo passaggio documentale della merce, quantificabile complessivamente nel 6/7% del valore della fattura finale, emessa nei confronti della società beneficiaria, che in tal caso compensava il costo dell’operazione con l’Iva a credito percepita dal godimento della fattura medesima.
Una delle società pur essendo una svizzera, sfruttava un deposito in Austria dove la merce arrivava e ripartiva, così che le numerose compravendite di prodotti informatici divenivano intracomunitarie.
Di conseguenza, la disciplina applicata per vendite ed acquisti con l’Italia era quella degli stati intracomunitari, con libero transito, senza l’obbligo di pagamento delle imposte doganali. La movimentazione era circolare e la merce tornava al punto di partenza, pronta per ripetere il percorso Le operazioni fatturate erano quindi inesistenti, perché la merce che circolava era sempre la stessa. I trasporti da e per l’estero erano effettivamente eseguiti, per documentare le compravendite, ma le scatole contenevano sempre materiale di scarso valore.

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