Il treno delle donne

Dom, 29/11/2020 - 12:30

Giù, al sud, la mela era stata mordicchiata e poi abbandonata su di un binario: bacata e con dentro un vermiciattolo bianco che eiaculava fra la polpa mezza addentata.
Il treno delle donne era un variopinto, buffo e un pò sgangherato trenino di plastica resistente (perdio, se era resistente) alle intemperie e agli sbalzi umorali del fato.
Nella sua corsa intenzionale, senza l’assillo dell’intenzionalità, schiacciava col suo peso leggero, ma vibrante assai, il frutto e lambiva le onde del mare. L’acqua salmastra non ne corrodeva il ferro e le lamiere (era una plastica speciale, cangiante, mutevole e forgiata dal cuore di Eva), ma ripeteva instancabilmente alla costa immobile che tutto sarebbe stato eseguito ancora, con malcelato orgoglio, da parte del maschio italico (vedi alla voce “maccheronico”).
Infatti, l’uomo stagliandosi con le spalle rivolte al sole e vestito, come a una solenne cerimonia, con un abito per Tip-tap, cercava con un paio di scarpe ferrate, danzando sulla ghiaia, di richiamare l’attenzione delle donne col gesto per la copula che lui riteneva primario, essenziale, solenne.
Ma le donne, finalmente, non più deboli, timide, impaurite, umili, colpevoli, suddite o piccole davano più fuoco alla caldaia e il treno subiva una forte e violenta accelerazione.
Sfilavano, davanti ai finestrini, donne ricurve, un pò tozze, avvilite e stanche, avvolte in ampi scialli neri - il lutto perenne - si vedevano ragazze, in giacca, cravatta e blazer, correre a prendere un volo che le avrebbe portate a convegni, meeting o importanti riunioni d’affari; si scorgevano, in stanzette buie, sartine intente a ricamare e a confidarsi speranze, sogni, si sentivano ragazze-madri dialogare serenamente con le proprie figlie (l’assenza, spesso la fuga dei padri-padroni, era avvertita con lieve malumore o imbarazzo: un molare necessariamente da estirpare al più presto).
Passato e presente s’attorcigliavano sotto le grinfie della Storia che restava muta, immobile, incapace, davanti a quel treno lanciato verso un futuro privo di violenze fisiche e mentali verso le donne… E poi processi e poi assoluzioni facili… E poi tratte di donne dall’est o nigeriane o di altre nazionalità: il risultato non cambia la somma degli stupri, dei crimini, degli acidi o di altro attuati verso l’altra metà del cielo.
Era un treno allegro, felice: la gioia di ritrovarsi in tante era più grande dell’amarezza di percepire, o già sapere, che un giorno sarebbero rimaste in poche.
Qualche inconveniente o contrattempo nel viaggio a volte poteva accadere.
Ad esempio, di colpo com’era avvenuto il cambio di ritmo, il treno poteva inchiodarsi con brusca frenata perché sui binari stava seduta una ragazzina che si asciugava le cosce insanguinate con foglia di fico.
Allora si poteva assistere a uno strano ed enigmatico fenomeno geometrico: i due/tre vagoni  centrali si sollevavano nel cielo limpido, incurvandosi fra loro fino a plasmarsi, formando una gigantesca U capovolta - perfida parola «ubbidienza» rovesciata - per poi ricadere e riformare la retta iniziale del convoglio e il viaggio riprendeva più spedito con il sangue della ragazzina, fatta salire, a dare nuova linfa vitale al motore.
A volte i vagoni, l’avete già letto, che erano di plastica, ma anche di ferro, sabbia e fuoco, gocce cristalline di sorgenti limpide, filari di uomini, viti, grano, sassi, ruscelli calmi e vortici pericolosi, oceani malinconici, brezze notturne, zucchero filato e pianti di madri, si tramutavano in aquiloni e svolazzavano leggiadri nel cielo sempre più stellato; ma potevano divenire, anche, grintose aquile e beccare alla schiena incauti castorini che si arrampicavano su alberi di ciliegie per gustarne un numero illimitato.
Insomma era tutto uno scoppiare, su quel treno e il treno stesso, di colori che avevano suoni e di musiche che avevano colori.
Dove fosse diretto quel treno non ci è dato saperlo perché ancora oggi, pur con brusche frenate e svelte ripartenze, continua ad andare.
È un viaggio, un vaticinio, una speranza di udire un giorno, non troppo lontano, il vagito di un bambino nuovo che da grande, schiacciando consapevolmente la testa del vermiciattolo e riassaporando con nuovo gusto la polpa della mela non più bacata, urlerà «È difficile capire le donne: sono complesse, a volte parlano poco ma dicono tanto con i silenzi e gli sguardi; accavallano le gambe, promettono il paradiso, pur senza ali ti precipitano nell’inferno, non ti lasciano in purgatorio e quando ridono, ridono per davvero».

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