La bottiglia del naufrago

Mer, 24/02/2021 - 12:00

Il coronavirus ha monopolizzato l’attenzione per la sua diffusione e per la mortalità che provoca e la pandemia, che ne è derivata, ci ha fatto dimenticare ogni altro tipo di malattia. Il tifo, per esempio. L’etimologia della parola deriva dal greco typhos che indicava fumo, vapore, febbre. Pare sia un insieme di malattie, la cui caratteristica comune è il provocare stati confusionali, mancanza di lucidità, alta febbre. Il fatto che il tifo sia estremamente contagioso si evince dalla moltitudine di persone che lo contraggono tanto da assurgere ad una ben precisa categoria. Il tifoso. Il tifoso è di genere maschile, ma da molto tempo a questa parte, per non essere da meno, si assiste ad una forte presenza femminile colpita dal contagio. E così abbiamo anche la tifosa. I primi segni di questo potentissimo virus si sono riscontrati nello sport ed in particolare nel calcio, preferendo, il tifo, più gli sport collettivi che quelli individuali (fanno eccezione per questi ultimi le atlete e gli atleti che indossano il colore azzurro, tipico della Nazionale). Negli sport collettivi la simbiosi tra il tifoso e il team è perfetta, tanto che parlando usano il plurale “Noi” quando vogliono commentare la vittoria o, con più sofferenza, la sconfitta. In quelli individuali la simbiosi non è tanto con chi gareggia quanto con cosa rappresenta, per cui quando perde è il solito stronzo quando vince a vincere è l’Italia, quindi noi tutti. I sintomi si manifestano, in particolare, durante la gara. La febbre sale precipitosamente, scompare la lucidità e la confusione la fa da padrone. Ovviamente, la gara diventa battaglia, gli avversari vanno annientati, la parola d’ordine del tifoso è una e una sola: “O con me o contro di me”. Diceva Ennio Flaiano che “L’italiano ha un solo vero grande nemico ed è l’arbitro nelle partite di calcio, perché emette un giudizio”. E questo il tifoso non lo può sopportare, perché sarebbe un giudizio sul suo avere ragione a tutti i costi. Non ha importanza come si arrivi alla vittoria (gareggiando bene, essendo obiettivamente superiori all’avversario, fattori del tutto trascurabili) purché si vinca. E quando si perde non è mai per meriti altrui, ma per qualche torto subìto. Mi è capitato, in questo periodo di droga televisiva, di vedere una partita di calcio. Ho tolto l’audio per non sentire il commento tifoso-giornalistico e ho gustato come non mai l’evento sportivo. Spalti vuoti, nessuna bandiera con simboli orripilanti, nessun urlo cadenzato (immortalato da Vittorio Gassman nel film I mostri). Dopo il primo tempo, nel quale la superiorità di una squadra era evidente anche ad un bambino, ho cambiato canale. Come quel famoso presidente di club, ex calciatore, che a metà partita abbandonava la tribuna, probabilmente annoiato. Ora però il tifo, al pari del Covid-19, ha varianti preoccupanti, perché travalica il rettangolo di gioco e si diffonde in altri campi. Nel campo politico, per esempio. Analisi dei fatti, analisi sulle necessità, sulle competenze, attesa per le decisioni che saranno prese? Nulla di tutto questo. Si usano argomenti che servono ad alimentare il tifo irriducibile degli ultrà. E le “Curve” si riempiono sempre di più. E’ cronaca di questi giorni dove il tifo per Conte e Draghi raggiunge vette mai viste prima. E nessuno ricorda l’immobilismo di un governo che d’estate ha mollato tutti i controlli, che non ha predisposto nulla per la seconda ondata di contagi e soprattutto ha rischiato di far saltare l’aiuto europeo, non riuscendo a presentare nessun piano dettagliato richiesto. Il tifoso vede l’ultima azione, la ingiusta “Espulsione” per mano del killer toscano. Sono gli stessi tifosi che indicavano nel pugliese di Gallipoli il killer per eccellenza, che azzoppava addirittura gli stessi compagni. E di Draghi cosa dicono? E si, sarà pure bravo, ma sempre banchiere è! Lo si liquida con snobistica superficialità (il tifoso è sine nobilitate), dimenticando (o non sapendo) che per lui valgono i fatti (compiuti) e non i comunicati. Così è il tifo, per il quale, a differenza del coronavirus, nessun vaccino si riesce a trovare. 

Autore: 
Francesco Femia
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