La Lega cancella il linguaggio di genere

Lun, 22/10/2018 - 16:20

Per la felicità di ogni maschio e maschietto, la Lega ha cancellato con un gran colpo di spugna le linee guida volute dall’allora presidente della Camera, Boldrini, per la definizione delle cariche pubbliche relative alle donne.
Stiamo parlando delle famigerate parole “ministra”, “assessora”, “consigliera” ecc. Parole odiate e vituperate dagli uomini quanto da molte donne, completamente imbibite di cultura maschilista e patriarcale come il pan di spagna di alchermes nella zuppa inglese.
E visto che il provvedimento parte proprio da un gruppo di donne sarà facile obiettare: “Ma lo hanno voluto loro!”, dunque non può essere sessismo o frutto della cultura patriarcale, diranno i signori maschi: scusa pronta sul tavolo ben servita a chi ne avesse bisogno (furba la Lega!). Eppure tutti ben sappiamo che la carognaggine non ha sesso, razza o colore politico, così come la stupidità, e che se un provvedimento viene da una donna, non è necessariamente femminista. Questa è una balla grande come il Colosseo, perciò i signori maschi sono pregati di riporla dove tengono tutta la loro attrezzatura per pensare, cioè nelle mutande. Così come possono riporla nel tanga le donne maschiliste che si credono persino femministe, ché il mondo ne trabocca e sono più diffuse del cognome Omissis a Siderno.
Il provvedimento è un atto politico molto forte, che ci riporta indietro di decenni e dimostra quanto se la stia passando male il genere femminile in questo periodo.
Dopo una parentesi di ristagno durante gli Ottanta e Novanta, il Berlusconismo ha sprofondato la figura della donna in un abisso di ignominia. Dal celebre “puttantour” alla frase: “Ora non ho tempo, incartami un pompino ché lo passo a prendere dopo”, fino agli apprezzamenti a un’adolescente diventati meme sui media.
La lingua rispecchia - e delle volte precede - i mutamenti sociali, lo dissero un paio di personcine che della cosa se ne intendevano: quel tal Platone, un altro che conoscete sicuro e si chiamava Aristotele, altra gente piuttosto nota in periodi più recenti, tipo Wittgenstein, de Saussure, Umberto Eco, il solito Heidegger ché dove lo metti sta, e vi risparmio gli altri. Ma devo venire a dirvelo io?
Se non c’è un termine per definire quella cosa, semplicemente quella cosa non esiste nella mente dell’Essere Umano. I confini del nostro mondo sono i nostri confini linguistici. Se non esiste “ministra”, vuol dire una sola cosa: le donne non possono amministrare niente, dagli atti burocratici ai culti religiosi.
Non ci provate neanche ad attaccare la pippa del maschile neutro. Neutro un cazzo. Una collega giornalista - da maschilista fatta e finita qual è - sosteneva a spron battuto che le cariche pubbliche devono rimanere al maschile perché… perché… perché… Perché? Non lo sapeva manco lei, ma lo diceva lo stesso perché le hanno insegnato così fin da piccola, imbottita di maschilismo come un panino di mortadella. E come lei tante altre persone, uomini e donne, incapaci di critica, ignoranti fino alla bestialità.
E si tacciano completamente coloro che al sentire normali declinazioni femminili di termini abitualmente maschili, come “cardiologa” o “agronoma”, ribattono con il classico: “Nun se po’ sentì”.
Al “nun se po’ sentì” io rispondo che chi lo dice conosce molto poco la lingua italiana, stracarica di vocaboli cacofonici e decisamente inudibili, da “ingressare” fino a “cuoiaio”, “succubare”, “enurèsi” e molte altre anche di uso comune. Semplicemente siamo solo abituati a sentirli e non ci facciamo caso. Da “maestro” viene “maestra” e da “infermiere” deriva “infermiera”. Non abbiamo nessun problema con questi vocaboli solo perché mestieri da secoli ampiamente diffusi tra la frazione femminile della popolazione.
La donna che si firma “urologo”, “biologo” o “medico”, non solo svaluta sé stessa come persona, ma come professionista. Sta esplicitamente dicendo: “Ehi, io valgo quanto un maschio, perché i maschi nella mia professione, valgono di più”. Il che a me fa pensare: “Gioia cara, non solo non conosci la lingua italiana, ma probabilmente neanche la tua professione, perché se non sai parlare non sai pensare, e se non sai pensare non sei brava a fare il lavoro per il quale ti sto pagando”.
Gioia, felicità, giubilo e liberazione anche per i giornalisti, il cui divorzio dalle regole grammaticali è stato ormai ampiamente sancito anche dalla Sacra Rota, la cui ignoranza crassa, supina e pluristratificata, ha portato anni addietro a parti linguistici acefali e deformi, come la celebre frase “la sindaco è andato”.
Tranquilli, colleghi, scrivete un po’ di quel che cazzo vi pare, tanto l’avete sempre fatto. E molti di voi non solo per ignoranza, anzi, l’esatto opposto: perché sapete perfettamente quanto potere vi sia in una cosa semplice come una parola. Una parola contiene un intero mondo, contiene il potere di descrivere e controllare, di generare poesia, ragionamenti, pensieri.
E a quel potere voi maschi non volete rinunciare.
#vigliacchi

Lidia Zitara,
che sempre userà termini femminili con coraggio e determinazione

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