La morte di un calabrese che lavora non fa notizia

Dom, 16/07/2017 - 17:50
La scomparsa di Davide Squillace di Stignano non andrà oltre la Locride. Davide non portava la pistola. Non trafficava droga. È morto arando i campi. Questi “eroi” discreti e silenziosi in Calabria non fanno notizia neanche quando muoiono.

Non è per niente facile parlare di un giovane che muore sul lavoro.
Dedicherò solo poche righe a Davide morto mentre era intento a lavorare i campi nella sua Stignano, anche perché non saprei proprio trovare le parole giuste senza correre il rischio di scadere nella retorica.
Era un perito agrario, amava la campagna, lavorava come trattorista, anzi combatteva quotidianamente la sua battaglia contro l’abbandono e i rovi che dalle colline scendono sempre più verso la marina.
In questi giorni che migliaia di alberi in tutta la Calabria sono andati a fuoco, Dio solo sa quanto preziosa è l’opera di giovani come Davide.
Stava “rubando” al sole le ultime ore di luce e infatti erano le otto della sera quando il trattore che Egli “amava”- capovolgendosi - ne ha causato la morte.
Probabilmente Davide non era assicurato, quasi certamente non era a posto con i contributi pensionistici ma il dato più importante è che stava lavorando e, forse mentre lavorava, riusciva persino a sognare le nostre valli (ri)fiorite.
La notizia della sua morte non andrà oltre la Locride.
Davide non portava la pistola.
Non trafficava droga.
Questi “eroi” discreti e silenziosi in Calabria non fanno notizia neanche quando muoiono.
Eppure sono la stragrande maggioranza. Ci sono migliaia di ragazzi che lavorano nei market, nei distributori, nelle campagne, sui ponteggi, nei call center per seicento euro al mese… e si ritengono fortunati!
Anni fa, un giornalista del “Corriere della Sera”, pur molto bravo, come Goffredo Buccini, è venuto nella Calabria, ha visitato la Locride, ha scritto un libro sulla nostra terra, ma non li ha visti.
Così come non li ha visti Saviano.
Come non li vede la grande stampa nazionale e molti “scrittori” calabresi che tengono le vette della classifica nazionale parlando - interessatamente - solo di mafia.
Sembra ci sia una spessa coltre di fumo sparsa ad arte e che impedisce di vedere i tanti giovani che implorano lavoro.
Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.
Certamente, nessuno potrà riportare in vita Davide e solo il tempo potrà dare conforto alla sua famiglia straziata dal dolore.
Forse l’unico modo autentico per rendergli onore è battersi affinché si tenga conto dei tanti Davide che pur esistono! Lo si faccia prima che sia troppo tardi per loro stessi e per la nostra Terra.
È molto triste dover constatare che, da troppo tempo, la “politica” trova “lavoro” solo ai “politici” che per eludere il problema parlano d’altro.
Anzi è amaro constatare che esistono qua e là diffusi in questa nostra terra alcuni politicanti che, intenti a tessere la tela delle clientele, non esitano a mettere in discussione quel poco di lavoro che c’è.
Negli anni passati, le lotte popolari hanno creato tante opportunità di lavoro, successivamente sprecati dal potere clientelare.
Oggi è giunto il momento di porre con forza il problema del “lavoro” come questione centrale della nostra terra.
Senza lavoro non ci sarà sviluppo e non ci sarà dignità. Non ci potrà essere “legalità”!
Non ci può essere futuro!
Chi atteggiandosi a grande economista e riponendo tutta la fiducia nel “mercato” afferma che il lavoro non si crea per “legge” non tiene conto della nostra storia.
C’è un sottile filo rosso che lega la Calabria ai popoli del Sud del Mediterraneo.
Non è il DNA ma la storia a scrivere il destino dei popoli.
Noi calabresi veniamo fuori da tante sconfitte che ci sono state inflitte da forze preponderanti alleate ad ascari locali. Dobbiamo essere consapevoli che solo un grande piano per il lavoro nel senso voluto dalla nostra Costituzione potrà salvare la Calabria e i nostri giovani prima che sia troppo tardi.
Guardatevi attorno, le possibilità ci sono, occorre solo cambiare politica.
Quando per pochi posti di infermiere si presentano in dodicimila, vuol dire che ci sono molti giovani che vorrebbero solo lavorare. E ognuno di noi sa avremmo bisogno di bravi infermieri, bravi tecnici, bravi operatori, bravi agricoltori.
Dove prendere i soldi?
Basterebbe solo un minimo di giustizia sociale. Per esempio si potrebbe chiedere all’1% della popolazione che dispone del 30% delle ricchezze nazionali qualche sacrificio. E non sarebbe peccato mortale.
Si può chiedere ai più ricchi di rinunciare solo a parte del superfluo.Si può chiedere di non buttare nella spazzatura cinque milioni di tonnellate di cibo ogni mese mentre c’è gente che muore di fame.
Non sarebbe la fine del mondo, e nessuno vuole una rivoluzione bolscevica.
Avremo - sicuramente - una società migliore, un ambiente tutelato, e un lavoro minimo garantito per tutti.
Non assistenza, non reddito senza lavoro.
Dipende da noi!
Dipende dal nostro impegno e della nostra determinazione nel voler cambiare un “ordine” che non è il nostro e che non ci appartiene!

Autore: 
Ilario Ammendolia
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