Ndi facimu stuppa

Mar, 20/10/2020 - 12:30

Sono sicuro che a molti della mia generazione risulterà familiare il motto “ndi facimu stuppa”, vale a dire “ci ubriachiamo e ci divertiamo senza remore”, restando a lungo immersi – metaforicamente – nel vino, come spugne felici del Mar Rosso, mare che per antonomasia richiama meglio di qualunque altro l’omerico “color del vino”. Da ragazzo lo sentivo ripetere spesso, in ogni singola occasione di festa, soprattutto d’estate, quando, ad esempio, il sabato sera ci accingevamo ad andare in discoteca al lido “Miramare”: “figghioli, jamu ca ndi facimu stuppa!”
Era un modo assai spiritoso per riuscire subito ad aggregare la nostra piccola comunità dionisiaca, con la promessa di bere, ballare e spassarcela tutta la notte, fino alle luci dell’alba.
Ma non lasciatevi ingannare dal suo impiego moderno; la frase “ndi facimu stuppa” è un altro tipico esempio di espressione arcaica che, mutuata attraverso il greco di Calabria, durante la fase di bilinguismo, è entrata a far parte del corredo linguistico dialettale reggino. Essa si origina dall’uso antico, presente soprattutto nei paesi grecanici, di isolare il tappo di ferula (pianta grata a Dioniso) con della stoppa di lino posta all’interno della cavità della botte, che funge così da isolante naturale, impedendo la fuoriuscita del prezioso liquido di Bacco.
La stoppa (in greco bovese “to stuppì”) rimane quindi all’interno della botte, perennemente impregnata di vino, suscitando perciò stesso l’ammirazione e anche l’invidia dei bevitori più incalliti che, a ogni travaso, bramano “divenire stoppa”, immagine bellissima che invera e prefigura il più antico Paradiso dei Greci, fatto di ebrezza simposiaca, risate e allegra convivialità.
“Ghìnome stupì”, “mi faccio, divengo stoppa”, dicono ancora oggi pure in Grecia i simposiarchi, con la stessa identica espressione gioviale utilizzata dai Greci di Calabria.
Spero che questo breve ma efficace esempio serva dunque a far comprendere a tutti noi che siamo prima ellenici, e poi grecanici. A nessuno - tranne che ovviamente al vino nelle botti - giova l’isolamento; nemmeno alla lingua.

Autore: 
Pasquale Casile
Rubrica: 

Notizie correlate