Pero Mastropaolo di San Luca

Ven, 14/08/2020 - 16:00
I frutti dimenticati

L’11 luglio, in seguito a un accordo preciso tra Arturo Rocca, ex dirigente amministrativo e conoscitore del territorio, specie per gli itinerari paesaggistici in provincia di Reggio, e Antonio Stranges, l’insuperabile guida di San Luca per gli itinerari più difficili nel Parco dell’Aspromonte, partimmo per un’escursione impegnativa che aveva come obiettivo la Valle Infernale, alla ricerca della Quercia Madre.
Lasciando San Luca alle ore 6:30, dopo aver attraversato la fiumara Bonamico, iniziammo il percorso verso il casello di Cano, a quota 1.473 metri, con due auto: il fuoristrada di Arturo, che ospitava l’ex dirigente dell’ARPA Emilia Romagna Sergio Guidi, in pensione dal 1º luglio, giunto in Calabria, la regione più ricca d’Italia per biodiversità, per preparare un progetto internazionale utile a mettere al sicuro le essenze a rischio di estinzione, e la mia, una Panda 4x4, sin cui viaggiavo con Stranges.
Strada facendo, con Antonio parlammo solo delle essenze del nostro territorio e ci ripromettemmo di scambiarci eventuali innesti ed esperienze.
Arrivati al casello di Cano lasciammo la mia macchina e proseguimmo solo con il fuoristrada di Arturo fino al Serro di Ceresia, a quota 1.485 metri, da quale, alle otto, cominciammo a piedi la discesa verso la Valle Infernale, ricadente tra i comuni di San Luca e Samo.
Splendidi paesaggi di volta in volta allietavano la nostra vista, intervallati da scenari di distruzione come quello prodotto da un incendio di più di venti anni fa, che divorò per una settimana un parco di monumentali pini larici notevolissimo per estensione.
Per circa due ore, dopo aver attraversato il Butramo, affluente di destra del Bonamico, camminammo in sentieri agevoli, ormai nel comune di Samo, verso il nostro obiettivo, che era quello della Quercia Madre, studiata da professori dell’Università di Cambridge e da quelli di Harvard.
Arrivati a una biforcazione verso il casello di Canovai, iniziò a sinistra il percorso in discesa, attraverso una vegetazione lussureggiante e un sottobosco di piante preziosissime, illustrate con competenza estrema da Antonio, che fra l’altro individuava di volta in volta il passaggio recente o meno di lupi, volpi, cinghiali e martore attraverso i loro escrementi.
Talvolta arricchiva le sue lezioni di botanica con racconti di fatti inusuali, come quello dell’asportazione del cuore di un lupo appena ucciso e mangiato crudo da qualche anziano pastore; con tale feroce pratica, d’interesse estremo per gli antropologi, s’intendeva arricchire il proprio corpo degli spiriti vitali dell’animale ucciso.
Per scendere bisognava tenersi avvinti agli arbusti del sottobosco e, camminando con estrema cautela. Antonio ci guidò attraverso un parco di circa novanta piante di quercia monumentale e aceri e, alle 11:45, all’improvviso, ci trovammo a godere di uno spettacolo emozionante; di fronte a noi finalmente si presentò altissimo il tronco della Quercia Madre, che aveva dato vita, nel corso di almeno una decina di secoli, a tutte le altre querce monumentali lì attorno.
Ci sedemmo tutti appoggiati al tronco per essere ricaricati dall’energia emanata dalla quercia e poi Antonio, Arturo e Sergio misurarono il tronco dell’albero, che risultò di 2,20 metri di diametro.
Dopo tale rito doveroso, la nostra guida tirò fuori uno straordinario pane di San Luca, ricavato dalla farina di grano duro e segale, e un capocollo, mentre Arturo scartava un formaggio misto capra e vacca e cominciammo a mangiare.
Restammo appoggiati alla quercia fino alle 12:15, quando iniziò il ritorno, dopo l’attraversamento del Butramo e il rientro nel comune di San Luca dopo aver ammirato peonie giganti, gigli rossi e malve montane.
Risalimmo il fiume per qualche chilometro visitando, piantata in una roccia, una croce che ricorda una tragedia dell’alluvione del 1951, quando un operaio bergamasco, Enrico Vuerich, di appena 26 anni, venuto dal Nord Italia per lavorare come tagliaboschi, fu portato via dalla furia delle acque il 17 ottobre di quell’anno e mai più ritrovato.
Antonio trovò, attraverso le pareti a picco un passaggio difficile per risalire da quota 1.199 metri e con una pendenza del 60%, una pista agevole, sovrastata dalla Pietra di Mazzulisà, che nel punto più alto raggiunge i 1.499 metri di altezza.
Precedetti gli altri e ridiscesi per qualche chilometro verso Cano per riprendere la mia Panda, su cui salì Arturo, che accompagnai al Serro di Cerasia per prendere il suo fuoristrada.
Al ritorno per San Luca, con Antonio Stranges, continuammo a parlare di biodiversità e, arrivati in contrada Melia, il luogo in cui crescono i frassini, a quota 674 metri, ci fu una fermata obbligata in quanto i forestali hanno innestato, una ventina di anni fa, dei perastri con varietà di peri tipici di San Luca e toccò alla mia guida in tale comparto spiegarmi le caratteristiche di almeno cinque varietà.
Fra le altre, recuperammo alcuni frutti di un pero denominato Mastropaolo, che risultarono leggermente aromatici, dalla grana abbastanza fine, dalla pezzatura media e dalla forma elegante che assume una colorazione tra il verde e il giallo a maturazione, che avviene a quella quota, tra la prima e la seconda decade di luglio, che era quella della nostra visita alla Quercia Madre della Valle Infernale.

Autore: 
Orlando Sculli
Rubrica: 

Notizie correlate