Politica altissima, purissima, levissima

Dom, 04/06/2017 - 11:18
È possibile scendere a patti con la criminalità organizzata pur di vincere le elezioni e, poi, una volta ottenuta la fascia tricolore, cooperare al fianco della prefettura animati da un senso altissimo della legalità? Stando alle dichiarazioni del pentito Arcangelo Furfaro, a Gioia Tauro sì.

"È meschino che ignoti approfittino del fatto che quest'uomo ora sia in vista, in quanto aspirante alla carica di primo cittadino, contrastando così gli ideali di cui è portatore”.
È questo uno stralcio di uno dei tanti comunicati di solidarietà scattata, puntuale, dopo quella che si credeva essere un’intimidazione ai danni dell'allora candidato a sindaco di Gioia Tauro Renato Bellofiore. Era il 9 aprile del 2010. Nella notte era stata data alle fiamme la sua Ford Ka, proprio sotto casa. Renato Bellofiore, ai tempi 42enne, avvocato, sostenuto da due liste civiche, qualche giorno dopo si sarebbe giocato al ballottaggio la carica di primo cittadino contro Umberto Pirilli.
"Questo fatto – proseguiva il comunicato – non deve influenzare l'elettorato, ma soprattutto non deve condizionare il candidato Bellofiore che, qualora fosse eletto sindaco, dovrà anche superare la paura di nuovi attacchi". Rileggere questo attestato di solidarietà alla luce di quanto è recentemente emerso dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Arcangelo Furfaro,  riportate dalla Gazzetta del Sud, fa sorridere. Anzi no, fa incazzare.
Nel gennaio 2015 Arcangelo Furfaro, detto "Lino", riferì al pm – rivelazioni finite oggi negli atti dell’inchiesta “Provvidenza” – che Renato Bellofiore e Lino si sarebbero incontrati in una pizzeria sul lungomare di Gioia Tauro e in quell’occasione l’aspirante sindaco gli avrebbe chiesto: “Lino come andiamo, secondo te?”. E Lino: “Renato ci siamo quasi, secondo me sei avanti tu, ma ora questi sono gli ultimi giorni dove si deve dare un imput particolare per…” e a quel punto Furfaro gli avrebbe proposto il suo piccolo stratagemma: “Tu sei disposto a sacrificare la macchina?” e, notando che Renato non aveva colto appieno il piano, avrebbe precisato: “Tu la bruceresti la macchina per vincere? (…) Se io vengo stasera e ti metto fuoco alla macchina, la gente pensa che sia stata la mafia. (…) queste sono quelle cento, duecento persone che cambiano idea all’ultimo momento e ti vanno a votare”. Arcangelo Furfaro avrebbe, quindi, ricevuto il permesso da Renato Bellofiore per entrare in casa sua e farsi bruciare la macchina. I due sarebbero stati d’accordo. Per l'aspirante sindaco quella soluzione abitata da un brivido sarebbe stata l'unica strada possibile per non rischiare di guardare l'ambita poltrona dallo spioncino. La smania di potere, a volte, finisce per cedere a una colpevole debolezza.
Ad accompagnare Furfaro a casa di Bellofiore sarebbe stato Mimmo Cento, ex presidente del consiglio comunale, nonché dirigente regionale PD, uno che in un’occasione ha addirittura dichiarato: “Il Pd ha reso Gioia il caso positivo della provincia”. Cento, però, stando a quanto riporta Furfaro era all’oscuro del precedente accordo, per questo si sarebbe prestato. “Ho preso una bottiglietta di Levissima - racconta Furfaro - siamo andati a Palmi, allo svincolo dell’autostrada, ‘ndi na buttigghia normali… di acqua minerali misi a benzina,’nu lignu,’na pezza e ‘ncia bruciai, con una candela ho rotto il vetro… tutto qua”.
Tutto qua. E se il “tutto qua” fosse accertato, di quali ideali sarebbe stato portatore Renato Bellofiore? E con lui Domenico Cento? Chi sarebbero i meschini? Stando al comunicato sopra, il presunto attentato non avrebbe dovuto influenzare l’elettorato e invece, probabilmente, lo influenzò eccome: Bellofiore vinse l’ex europarlamentare Umberto Pirilli ottenendo 4.743 voti, pari al 51,53% contro i 4.461 di Pirilli (48,46%). Uno scarto di 282 voti. Merito dello stratagemma di Lino?
Se il "tutto qua" fosse accertato, inoltre, risulterebbero alquanto ridicoli gli appelli che, una volta ottenuta la fascia tricolore, Bellofiore rivolse alle forze dell'Ordine in seguito a un'escalation criminale a Gioia Tauro, facendosi portavoce di una politica altissima, purissima, levissima (come la bottiglia incendiaria utilizzata da Furfaro): "Abbiamo bisogno che la presenza delle Forze dell’Ordine nel nostro territorio sia potenziata, con la previsione di un  maggior numero di uomini e mezzi che abbiano il controllo costante e globale di tutte le aree cittadine. Ciò al fine di potenziare il monitoraggio - soprattutto notturno -  di tutta la nostra città". Fosse stata potenziata prima la presenza delle Forze dell'Ordine, Bellofiore sarebbe stato ugualmente sindaco della Città?
Dopo l'appello a Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, Bellofiore fa di più: scrive anche all'allora Prefetto Varatta. "Come Sindaco sento il dovere di farmi garante del bisogno di legalità che tutta la mia Città desidera. Per questo ho chiesto l'intervento di Sua Eccellenza il Prefetto di Reggio Calabria, quale guida e protagonista dell’azione che si andrà ad avviare (...) concertando gli interventi atti ad impedire a forze avulse (ma che in qualche caso, sempre se quel "tutto qua" fosse vero, potrebbero tornare utili, ndr) di violentare la pace e la tranquillità di una comunità pacifica, laboriosa  e desiderosa di riscattare la propria dignità, oggi come non mai. (...) Episodi come questi testimoniano la recrudescenza di un fenomeno di espansione criminale che non si ferma dinanzi a niente". Già, dinanzi a niente.

Autore: 
Maria Giovanna Cogliandro
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