Difficile parlare di Calabria senza pensare all’atavico legame che questa parte di mondo ha con la terra, con l’agricoltura, con quella classe contadina che da sempre è stata la migliore, a volte l’unica, forma di economia veramente funzionante e funzionale.
Se ci chiamano “Terroni” ci sarà pure un perché…forse dovremmo sentirci offesi, irritarci, indispettirci; mi piace pensare, invece, che dovremmo essere orgogliosi; orgogliosi di appartenere a quel miscuglio di etnie che, pur con tutte le differenze culturali, sociali, religiose che li hanno caratterizzati, non ha mai smesso di dare importanza al luogo in cui viveva, a quel terreno che lo nutriva, ai frutti generosi con i quali sapeva ripagare il duro lavoro tra quelle colline baciate dal sole e lambite dal mare.
Fertili declivi, che galleggiando dolci su acque blu fonde, tracciano, con abile mano, il profilo di una terra sodale del sole e le garantiscono un clima tale da farne figlia prediletta di Bacco; questa è la terra dove viviamo; questa è la Calabria che, con il succo delle sue viti, rese ebbri sia i Persiani conquistatori di mondi, sia i popoli di quel ragazzo che Magno li piegò.
Appena chiudi il libro di storia ti accorgi però che quel vino che ci rendeva famosi, quel vino che arricchì i nostri avi, quelle vigne che da sempre amano crescere rigogliose nella nostra terra o sono poco conosciute in Italia e nel mondo o peggio sono denigrate dagli stessi calabresi, a volte, più contenti di riempirsi la bocca di Sassicaia per quel suo gusto “sibilante”, che di provare a scoprire la qualità dei prodotti nostrani.
Fortunatamente le eccezioni, come le eccellenze sono poche, ma non mancano mai e per merito di alcune aziende che stanno riscoprendo l’amore per la viticoltura, anche nella Locride, sembra possa tornare la fama enologica di un tempo.
Una di queste è la cantina Lavorata che opera nel circondario roccellese e vanta una produzione quasi totalmente incentrata sulla lavorazione di uve indigene, che sapientemente dosate, riescono a produrre vini d’eccellenza come il Bivongi Doc rosso, il Greco nero, il Cirò Doc rosato, il Greco Doc di Bianco.
Grazie a Vincenzo Lavorata che la fondò nel 1958 l’azienda, tuttora a condizione familiare, ha saputo mantenere ben saldi quei valori della classe contadina di provenienza.
Valori che formano oggi il carattere di figli e nipoti, pronti a sporcarsi le mani con il nero della terra e il rosso degli acini premuti, ma attenti anche all’innovazione, alla crescita e, una volta dismessi cappelli di paglia e camice country, a indossare giacca e cravatta per promuovere, in pieno stile italiano, i loro interessi anche all’estero.
Riconoscimenti di alto livello, aumento della produzione mai a discapito della qualità, migliorie tecnologiche per tenersi sempre aggiornati, sempre al passo con i tempi, ma senza mai rinnegare le proprie radici, ci mostrano una realtà in continua espansione, che vede la Calabria, e allo stesso tempo è per la Calabria, una risorsa importante capace, forse, di aggiungere ai soliti “tag” che ci etichettano la parola vino.
Il sorriso, l’ottimismo e la buona volontà di un contadino, ma l’ambizione, la prontezza e quando serve la spregiudicatezza di un imprenditore, insomma quel giusto mezzo dei latini che, tra vecchio e nuovo, tra passato e presente, tra esperienza e innovazione ha fatto scoprire alla famiglia Lavorata l’equilibrio del successo.
A strata pe ù successu è sempri lavurata… in italiano, “Lavorata”
Fin dai tempi più antichi produrre vino, berlo ed esportarlo erano requisiti fondamentali per potersi dire calabresi; oggi troppo spesso tendiamo a dimenticarcene, credendo che il buon vino sia solo quello che fa rima con Margaux.
Autore:
Vincenzo Larosa
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