Leggiamo nella sezione Cultura di Riviera di domenica scorsa, 16 giugno (a p.19), la notizia della chiusura del Museo Archeologico Nazionale Archeologico di Locri Epizephiri per motivi di ristrutturazione proprio all’inizio del periodo estivo, che “ha destato non poche perplessità e timori da parte di diversi cittadini”. Fortunatamente, come ha spiegato la direttrice del Polo Museale di Locri Epizephiri, Rossella Agostino, “l’opera di ristrutturazione riguarderà solo alcune delle sale del Museo che continuerà a essere visitabile in tutta la sezione relativa al Parco Archeologico e al casino Macrì”. Almeno il turista tedesco, venuto appositamente a Locri sotto la canicola, potrà ammirarne il teatro, appena ripulito da una savana di erbacce. Non solo: secondo l’Agostino, “i reperti contenuti nelle sale oggetto di ristrutturazione [...] saranno temporaneamente trasferiti proprio presso il Museo del Territorio di Palazzo Nieddu (ossia a Locri) incrementando così la superficie destinata all’esposizione e ripensando l’intero allestimento espositivo (il corsivo è nostro). Se quest’ultimo progetto sarà effettivamente portato a termine, ci si augura che i suoi curatori abbiano modo di rimediare ad alcune delle lacune più tangibili dell’attuale allestimento, che è vanto pressoché esclusivo della Scuola Normale Superiore di Pisa. All’équipe scientifica di Pisa spetta, infatti, il merito di aver avviato la più recente ricognizione archeologica del territorio della polis locrese, iniziata nel 2017 nelle vallate della Fiumare Condojanni e Portigliola e condotta in modo sistematico fino a circa 8 km dalla costa jonica. Ciò ha permesso di ricostruire le principali dinamiche del popolamento della chora (il territorio) circostante l’antico centro urbano dall’età pre-protostorica a quella medievale e di individuare una serie di nuovi siti con funzioni diverse (dalla fattoria al punto di avvistamento). La documentazione raccolta a Palazzo Nieddu attesta l’importanza dei risultati di queste ricerche ancora in corso.
Ciò nondimeno la prestigiosa università toscana non è stata la sola né tantomeno la prima ad affrontare lo studio del territorio di Locri Epizephiri, largamente ignorato (a parte pochi interventi di lungo respiro) dalle autorità preposte alla tutela dei beni archeologici della regione fin dall’epoca di Paolo Orsi. Paradossalmente, fu lo stesso Orsi a lasciare dietro di sé un modello di ricerca concentrato esclusivamente sulla riscoperta del centro urbano. Va pure detto che nessun altro archeologo italiano succeduto a Paolo Orsi in Calabria dopo il 1927 è stato in grado di dare un impulso alla ricerca archeologica nella Locride paragonabile anche lontanamente all’attività del grande studioso roveretano, anche in anni relativamente recenti e con mezzi di gran lunga superiori. Ciò malgrado, non sono state poste in risalto a Palazzo Nieddu le evidenze archeologiche individuate nelle ricerche dell’Università di Siena fin dagli anni Novanta del secolo scorso nell’area di confine tra la chora di Locri e quella di Rhegion, e dei risultati delle indagini condotte nell’area di Capo Bruzzano dall’Università di Torino – che da oltre mezzo secolo scava nel cuore della città. Manca, infine, qualsiasi riferimento a uno dei temi di studio più recenti per quanto riguarda la ricerca archeologica sul mondo greco: il controllo e la difesa del territorio. Eppure fin dall’epoca tardo arcaica (dopo il 600 a.C., ad appena un secolo dalla sua fondazione) Locri Epizephiri era già dotata di un sistema di fortificazioni rurali concepite come punti di controllo e di sorveglianza delle principali vie di collegamento tra Jonio e Tirreno, e come avamposti sui confini in aree spesso oggetto di guerre frontaliere con altre città-stato come Rhegion e Kaulonia. Le numerose carte dell’antico territorio locrese con indicazione dei siti pre-protostorici e di età greca di cui è costellato il Museo del Territorio non citano i risultati delle ricerche dell’Università del Kentucky a Monte Palazzi (Comune di Grotteria) e a Bregatorto (Comune di Antonimina), dove sono stati individuati e parzialmente scavati due forti locresi. Entrambi i siti, a oltre 14 km dalla costa jonica, e rispettivamente a 1251 e a 975 m di altezza sul livello del mare, hanno anche restituito evidenze di una frequentazione preistorica fin dal Neolititico. Inoltre entrambi questi forti sono stati occupati – a differenza di qualsiasi altra fortificazione rurale finora nota in Calabria – dalla metà del VI fino al primo quarto o fino alla metà del III secolo a.C., come dimostra l’evidenza dei rinvenimenti. Basta una ricerca su Google per trovare riferimenti alla bibliografia in inglese e in italiano delle relazioni scientifiche su questi siti pubblicate da Paolo Visonà, direttore degli scavi americani a Monte Palazzi dal 2005 al 2010 e a Bregatorto nel 2017 e 2018 (per esempio: www.fastionline). Lo studio più recente, dal quale provengono le immagini delle prospezioni magnetometriche e georadar qui illustrate, è in corso di stampa in Notizie degli Scavi di Antichità edite dall’Accademia Nazionale dei Lincei, la più veneranda rivista archeologica dello Stato.
Ma perchè il forte locrese di Bregatorto è importante? Esso è anzittutto la più grande fortificazione rurale di età greca (circa 2200 mq, quasi il doppio dell’area del forte di Monte Palazzi) finora individuata nella Locride. Si tratta inoltre di un punto di controllo strategico e di un nodo essenziale sul percorso più diretto e più agevole tra Locri e la costa tirrenica. Partendo dall’antica Locri e risalendo la Fiumara Portigliola era possibile scendere nella vallata di Antonimina e risalire la dorsale che da Tre Arie conduce a Bregatorto passando per le alture di Monte S. Mauro e Monte Cola. Proprio a Monte S. Mauro sono stati individuati i resti di un posto di vedetta di epoca greca, con laterizi e ceramica da fuoco, che dominava l’antica pista risalente da Tre Arie. Un altro punto di vedetta, e un insediamento rurale – ambedue di età greca – sono stati scoperti lungo questo percorso, a oltre 600 m. di quota, al disotto di Monte S. Mauro. Da studi condotti con Google Earth risulta che il potenziale visivo del forte di Bregatorto comprendeva tanto Monte Cola quanto Monte S. Mauro: in altri termini, la guarnigione del forte era in grado di sorvegliare (da un bastione o una torre ubicata sul lato nord-est del complesso) l’ultimo tratto della pista che risaliva il crinale fino a Bregatorto e alla sommità della Dorsale Tabulare, dalla quale era possibile scendere in brevissimo tempo sulla costa tirrenica. Bregatorto era pertanto il caposaldo di un vero e proprio sistema di controllo del territorio e il terminal dell’asse viario che metteva in comunicazione Locri con i suoi possedimenti e la sua sub-colonia più vicina sul Tirreno, Métauros e Medma (oggi Gioia Tauro e Rosarno). La presenza di ben tre siti di età greca tra Tre Arie e Bregatorto dimostra chiaramente che questo era il percorso principale (anche se certamente non l’unico) tra l’antica Locri e il litorale tirrenico meridionale.
Forse quando sarà ripensato l’intero allestimento espositivo di Palazzo Nieddu queste nuove importanti evidenze potranno trovare l’attenzione e lo spazio che meritano. Locri controllava un territorio molto più vasto e più lontano dal mare di quanto lascino capire i pannelli e i materiali dell’esposizione attuale. La novità forse più indicativa rispetto a dati disponibili in passato è che i Locresi s‘impadronirono rapidissimamente di tutto l’entroterra fino all’orizzonte naturale della Dorsale Tabulare sin dall’epoca arcaica, espandendosi anche in areali compresi tra i 500 e 1000 metri di quota. La fondazione delle loro sub-colonie di Medma e Hipponion presuppone una conoscenza e un controllo del territorio già acquisiti entro poche generazioni dall’arrivo dei primi coloni Achei, ovviamente a spese della popolazione indigena preesistente, della quale scompare ogni traccia dopo la prima metà del VI secolo. Dopo aver corso il rischio di essere distrutta dai Crotoniati nella Battaglia della Sagra (560 a.C.), Locri si fornì di una cinta muraria e di una rete di fortificazioni rurali, la maggior parte delle quali resta da individuare. I siti di Monte Palazzi e Bregatorto, in particolare, sono due cardini di questo sistema di controllo e difesa del territorio che dovrebbero essere fiori all’occhiello di una struttura museale che si propone di presentare alla Calabria e al mondo l’unicità del retaggio culturale di una delle maggiori città della Magna Grecia.
Un nuovo Museo Archeologico del Territorio (o quasi)
Autore:
Giovanni Pittari
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